la Repubblica, 21 giugno 2024
Intervista a Russel Crowe
«Aspetti, il mio cane è scappato».
Massimo Decimo Meridio si alza e urla verso il bosco: «Dick, vieni qui!
Dick!». La voce del Gladiatore rimbomba nell’aria e, attraverso il telefono, annulla i 16 mila chilometri che separano il Nuovo Galles del Sud da Roma: «Eccomi, mi scusi ma siamo circondati dalla vegetazione, è pieno di volpi, il cane le ha sentite ed è impazzito. Continuiamo pure».
Russell Crowe vive isolato da tutto ma nella sua fattoria in Australia non manca nulla, si è fatto persino costruire uno studio di registrazione: «Sono le otto di sera ma con la band stiamo ancora lavorando», spiega, «sono le prove prima della partenza per il tour mondiale». Un tour che farà tappa in Italia per 16 date: il debutto è stasera a Breuil-Cervinia ma non potevano mancare Roma e il Colosseo, dove Russell Crowe & The Gentlemen Barbers si esibiranno il 23 giugno per uno show al Tempio di Venere che sarà però accessibile al pubblico anche grazie a uno schermo tra la terrazza e l’anfiteatro. Sempre a Roma, due show “immersivi” nel Forum Theatre, il 26 e il 27 giugno, dove le pareti si trasformeranno in schermi cinematografici.
Il Gladiatore torna al Colosseo, la vedremo in qualche modo nel seguito che esce a novembre?
«No», e solo qui risponde in italiano, «il Gladiatore è morto», dice impostando la voce.
Lei iniziò con la musica negli anni 80, prima della recitazione. A quell’epoca si faceva chiamare Russ Le Roq e la prima canzone che scrisse si intitolava “I just wanna be like Marlon Brando”, sembra una premonizione.
«La composi a 16 anni, in quel periodo lavoravo in un night in cui si suonava solo musica degli anni 50: la scrissi pensando al proprietario che era pazzo per quel periodo, si vestiva e si pettinava secondo quello stile, girava in Cadillac. Ma in due o tre anni cambiai strada, abbandonai ilnome da cantautore e il rockabilly e cominciai a suonare con una band.
La passione per la recitazione è cresciuta grazie al teatro, lavorando prima nel musical Grease e poi inThe Rocky Horror Show. È così che arrivai ai film».
La sua prima band si chiamava invece Roman Antix, più o meno “Antico romano”: un’altra premonizione?
«È curioso, pensi di scrivere una canzone su qualcosa che hai già vissuto e invece stai predicendoun’esperienza futura. Ne abbiamo parlato con Sting, anche lui non sa spiegare da dove arrivino le canzoni e come possano a volte indicarci svolte future. Nel ’95 scrissi The photograph kills in cui c’è il verso “la fotografia uccide e la tua fama ti distruggerà”, due anni dopo ovunque andassi ero inseguito dai fotografi».
Aveva raggiunto un’enorme popolarità grazie a “L.A.
Confidential”. Quale suo film preferisce ricordare?
«Non c’è un mio film migliore, preferisco pensare a un gruppo di film. È il modo in cui lavoro che mi fa guardare sempre avanti».
Si può immaginare quale sia quello che ricorda con meno piacere: per “Robin Hood” si ruppe entrambe le gambe.
«La cosa incredibile è che me ne sono accorto solo dieci anni dopo. La gente va al cinema per vivere due ore di avventura ma non ha idea di cosa significhi davvero interpretare un film. Ci sono scene in cui non possono essere utilizzate controfigure, così feci questo salto giù da un muro e atterrai pesantemente su un terreno duro come la roccia. Fu difficile continuare, non sapevo di essermi rotto le gambe altrimenti mi sarei fermato. Solo nel 2019 un dottore notò delle vecchie fratture, e la mia mente volò subito al salto di Robin Hood».
Nel suo primo film, “Romper Stomper”, è uno skinhead: cosa pensa del vento di destra in Europa?
«Mi mette a disagio. Le politiche di destra non hanno mai portato a risultati socialmente proficui. Non c’è solo l’Europa, mi preoccupano le condizioni politiche in varie parti nel mondo, e la disinformazione che si insinua sempre di più nei media: si tenta sempre di enfatizzare e di estremizzare le notizie, è molto pericoloso».