la Repubblica, 21 giugno 2024
Autonomia, i cocci da incollare
Non c’è bisogno di “slogan” più o meno roboanti per vedere che la legge sulla cosiddetta autonomia differenziata è un pasticcio che non risolve i problemi e magari ne crea di ulteriori. Sembra che in Italia si abbia un particolare talento per complicare le questioni. Ed è lecito domandarsi il perché di tutta questa fretta da parte del destra-centro. Sarebbe stato più logico tentare un approccio meno conflittuale con l’opposizione, trovare insieme punti di convergenza. Anche perché in passato il Pd o i suoi predecessori avevano sull’autonomia regionale una posizione più flessibile; ne vedevano, specie gli amministratori settentrionali, alcuni aspetti positivi in termini di efficienza. Del resto, la famosa riforma costituzionale del Titolo V, anno 2001, doveva servire ad agevolare il percorso verso il decentramento: tutto ciò, beninteso, con le migliori intenzioni, nel senso di non voler mettere le regioni una contro l’altra, ricchi contro poveri, bensì di creare un circuito della solidarietà.
Purtroppo le cose non sono andate come si sperava e ora la destra al governo si è precipitata a peggiorare la situazione.
Questo errore di valutazione, chiamiamolo così, può avere gravi conseguenze se non si troverà la via di ripararlo. La strada, sia pure stretta, dovrebbe esserci: una legge, soprattutto quando è così complessa, richiede una nutrita serie di norme per interpretarne il contenuto e decifrarlo agli occhi degli amministratori locali, se possibile anche del normale cittadino. In un certo senso, quello che è stato approvato alla Camera è poco più di un contenitore. È sufficiente per lasciare intravedere i danni all’orizzonte, ma non per tradursi in un meccanismo amministrativo operante.
Una volta si diceva che di certi provvedimenti si approvava solo la “copertina” e poi si approfondiva il tema lontano dai riflettori. Forse vale anche oggi.
Al dunque sappiamo che stavolta la fretta era necessaria al fine di appagare Salvini e quel che resta del suo spirito nordista. I “governatori” leghisti possono essere contenti e magari dimenticano di avere in casa un nuovo parente, non proprio gradito, di nome Vannacci. Ragion di più per darsi daffare e sistemare la legge prima che diventi una punizione per le regioni del Sud. Dove, peraltro, una buona parte del destra-centro – da Giorgia Meloni a Tajani – conserva consistenti bacini elettorali e si suppone non abbia voglia di perderli dall’oggi al domani.
Segni di insofferenza già si avvertono e coinvolgono quadri locali anche di primo piano che appartengono ai partiti di governo, in particolare Fratelli d’Italia. E se Forza Italia morde il freno, la ragione è semplice: attende di ottenere l’approvazione della riforma della giustizia con la separazione delle carriere dei magistrati, secondo il testo del ministro Nordio.
In altre parole, questa dell’autonomia è una brutta riforma, carica di rischi per la stessa maggioranza di governo, quindi autolesionista. Azzardo o calcolo sbagliato, conta poco. Conta di più verificare se esiste una minima volontà di migliorarne, per quanto possibile, l’esito finale a beneficio dei cittadini. Del resto, quasi nessuna forza politica nel campo delle regioni è coerente al punto di poter alzare senza un filo di rossore lo stendardo dell’unità nazionale.
La coesione della Repubblica è un bene prezioso che è stato intaccato nel corso dei decenni per vari motivi e da diverse parti.
Ora è logico pensare al referendum e a raccogliere le firme, ma ancora più logico sarebbe esplorare se esiste una tecnica per incollare i cocci.