la Repubblica, 21 giugno 2024
Letta lascia Sciences Po c’è anche il suo nome per un incarico all’Ue
Un viaggio a Bruxelles. Per far pesare il Pd nel Pse. Perché socialisti spagnoli e tedeschi avevano già deciso di spartirsi gli incarichi parlamentari di vertice senza il Nazareno. Lo avevano fatto prima delle elezioni. Adesso però i dem sono la delegazione più numerosa. Chiedono di contare. Elly Schlein incontra le delegazioni nazionali. E alla fine strappa almeno questo trapela – la riapertura della trattativa su un punto: nella seconda parte della legislatura un eurodeputato democratico dovrebbe guidare l’Europarlamento o diventare capodelegazione del gruppo dei socialisti.
Da una segretaria a un ex segretario, Enrico Letta. La notizia, a sorpresa, è che l’ex premier rinuncia a correre per la direzione di Sciences Po. Una decisione che alimenta domande su un suo ruolo nel risiko delle nomine europee in corso a Bruxelles. Di certo, c’è che l’ex premier italiano si è ritirato dalla corsa per guidare la cosiddetta “fabbrica delle élite” che in centocinquant’anni ha lanciato la carriera di presidenti e ministri. Letta si era fatto avanti qualche settimana fa, quando si è aperta la battaglia alla successione di Mathias Vicherat. Chi lo conosce, sa quanto l’ex premier abbia amato il suo periodo nell’ateneo parigino, atterrando nella Ville Lumière dopo aver perso Palazzo Chigi e dirigendo la scuola per gli Affari internazionali dal 2015 al 2021. «Venire a Sciences Po è stata una delle scelte più intelligenti della mia vita», aveva detto, salutando gli studenti e trattenendo a stento le lacrime.
La sua candidatura era sostenuta da una parte dell’establishment e presentata come favorita dalla stampa francese. Eppure ieri, a ridosso del termine ultimo per dichiararsi, il suo nome non appariva più nella lista. A chi lo ha chiamato, Letta ha confidato di voler continuare la sua “missione europea”, sulla scia del report sul Mercato Unico. ARepubblica che gli ha chiesto un commento ha precisato che la questione universitaria e quella di un eventuale futuro a Bruxelles non vanno sovrapposte: «Non c’è alcun legame tra i due dossier».
L’ex premier ha girato le cancellerie d’Europa per stilare questa voluminosa riflessione. Il rapporto – di cui è stato tratto anche il libro “Molto più di un mercato” (il Mulino) che Letta presenterà martedì a Bologna in anteprima con Romano Prodi e Ignazio Visco – è già entrato nel lessico di Bruxelles. Emmanuel Macron l’ha citato come base per l’agenda strategica dell’Ue. E l’ex leader dem ha confidato che Viktor Orbán vuole usare alcune delle sue proposte per la presidenza ungherese dell’Ue che si apre il 1 luglio.
La rinuncia a correre per un incarico accademico di prestigio internazionale, peraltro con una remunerazione di tutto rispetto come quello di Sciences Po, viene quindi interpretato a Parigi come la voglia di Letta di sfruttare l’attuale ribalta a Bruxelles. La prima strada sarebbe quella della presidenza del Consiglio europeo. È una casella che spetta al Partito socialista europeo, al momento. Sarebbe riservata, secondo il pacchetto originario di nomine, all’ex capo del governo socialista Antonio Costa. Ma i popolari hanno messo in discussione questa scelta.
Ecco, in questo varco potrebbe inserirsi Letta. Sia detto a scanso di equivoci: non è una grande notizia per Giorgia Meloni. Né basta il rapporto personale con l’ex segretario del Pd, con cui l’attuale inquilina di Palazzo Chigi ha un’antica consuetudine (con lui continua a messaggiarsi, lo fa da anni). Non è lo comunque, perché Letta resta una scelta che riguarda i socialisti, su cui Meloni non può incidere. Perché al limite può rafforzare l’alternativa progressista in Italia. Perché lui su quella poltrona riduce naturalmente il peso del portafoglio del commissario del governo italiano. E perché, infine, se è vero che alla presidente del Consiglio può comunque risultare utile avere un connazionale in una casella del genere, è altrettanto vero che questa opzione elide in partenza uno schema su cui invece Meloni continua a lavorare: quello che porta Antonio Tajani alla guida della Commissione europea.
L’eventuale “caduta” di Costa, infatti, metterebbe ancora più a repentaglio la già complessa partita di Ursula, che rischia di finire vittima dei veti incrociati nel Ppe e di numeri risicati nell’eventuale conta all’Europarlamento. Ecco, dovesse saltare von der Leyen, il Ppe avrebbe poche alternative. Una, per curriculum, è proprio quella di Tajani, se non fosse che proprio i socialisti non vedono di buon occhio questo scenario e sarebbero orientati a opporsi a causa del solido legame tra il ministro degli Esteri e Meloni. Con Letta in campo, però, cadrebbe già in partenza la candidatura di Tajani. A ben guardare, poi, sono tutti i favoriti per i top jobs, in queste ore, a rischiare. Anche la premier estone Kallas vede calare le proprie quotazioni per diventare Alto rappresentante alla Politica estera in quota liberale.
E d’altra parte, lo stesso ex segretario del Pd rinuncia al suo incarico universitario perché sente di avere comunque un percorso europeo da seguire, indipendentemente dalle chance di successo della sua corsa alla guida del Consiglio. Non può rischiare un salto nel buio per una partita così complessa, capace di svanire durante le mediazioni dell’ultima notte. E dunque, non a caso trapela che sarebbe indicato in ogni caso per un ruolo di responsabilità dalla nuova commissione. Tra le opzioni, la più quotata quella dell’inviato speciale europeo in Medioriente, dunque per la crisi di Gaza e l’eventuale allargamento del conflitto.