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 2024  giugno 20 Giovedì calendario

Intervista a Max Pezzali

Roberto pavanelloÈ stata l’afa di Torino a inaugurare il primo tour negli stadi di Max Pezzali, un live – che già dal titolo Max Forever Hits Only – promette una serata a squarciagola. Insomma, solo grandi successi da cantare e ballare fino all’ultima stilla di energia. Un po’ come nei sempre più rimpianti Anni ’90, in quelle discoteche del cui abbandono si è fatto cantore oggi proprio quell’ex ragazzo di Pavia. Un viaggio nella nostalgia che ha accompagnato la serata dei 38mila che hanno riempito lo Stadio Olimpico-Grande Torino. Un bagno di folla e di affetto per una scaletta con la quale Max ha provato ad accontentare tutti i suoi fan. E a vedere la gioia del suo pubblico, ci è riuscito in pieno. Facile immaginare che questa mattina ci saranno molti afoni. Le prossime tappe saranno Bologna (2 date), Milano (3), Roma, Messina e Bari.A Pezzali brillano gli occhi mentre racconta come è stato mettere in piedi questo tour. «A 56 anni compiuti credo di essere il più vecchio a fare il primo tour negli stadi, per cui è un’emozione che vale quadruplo. Forse riesco a gestirla meglio oggi che non se mi fosse successo a 25 anni. Perché forse sarei stato sovrastato dall’imponenza di tutto ciò. Oggi ho il privilegio dell’età che mi permette di godermi ma anche di gestirmi al meglio un’emozione così».Qual è stato l’aspetto più complicato?«Fare la scaletta, perché una delle nostri più grandi angosce è che alla fine di ogni concerto o di ogni tour arriva qualcuno che ti dice “e però quella non l’hai fatta”. Abbiamo dato la precedenza a quelle canzoni che non avevamo mai fatto o che magari non suoniamo dal tour di quel dato disco. Emblematico in tal senso è Ci sono anche io, che era nella colonna sonora de Il pianeta del tesoro. Film che, per far capire l’età della canzone, è stato l’ultimo Disney di vera animazione. In tanti erano affezionati a quella canzone, così abbiamo deciso di farla per la prima volta dopo 22 anni».Strizzate l’occhio alla musica dance.«Abbiamo colto l’occasione di Discoteche abbandonate per riarrangiare i brani in una maniera meno scontata e trasformare lo stadio in una discoteca. La scaletta è lunga ma molto divertente. E se lo dico io che sono il peggior giudice di me stesso...».C’è tanta voglia di Anni ’90, la loro iconografia non potrebbe ricordare un po’ quella dei ’50?«I Novanta sono diventati una sorta di decennio infinito, di “happy days”, di età dell’oro. Anche se ovviamente non era solo così. Sono stati l’ultimo decennio del secolo vecchio che diventava il primo del nuovo. Avevi la speranza del futuro del mondo che sarebbe arrivato, con le certezze di quello che ti lasciavi alle spalle. Anche dal punto di vista musicale. Basta una canzone, una serie tv e subito si torna a quella spensieratezza. C’era ottimismo, forse perché eravamo inconsapevoli: sembrava che tutto sarebbe andato bene, non si erano ancora visti gli aspetti negativi della Rete, l’11 settembre ancora non era arrivato. Ma non era l’ottimismo solo della giovinezza, era una sensazione vissuta anche dai trentenni. C’erano state le stragi di mafia, ma anche la reazione con i ragazzi in piazza a Palermo».Quando usciva Hanno ucciso l’Uomo Ragno, a pochi chilometri da qui c’era una guerra, in Jugoslavia. Oggi mentre fa il tour negli stadi, di guerre qui vicino ce ne sono due: Ucraina e Gaza. Vede analogie tra la reazione dei ventenni di oggi e quelli di allora?«All’epoca non ricordo una reazione così forte come oggi. O meglio, vi fu quando venne bombardata Belgrado. Adesso, grazie ai social che canalizzano le emozioni, vedo più consapevolezza. Oggi è più facile confrontarsi, riconoscersi e organizzarsi».L’ottimismo che aveva 30 anni fa ce l’ha anche oggi?«Sono un bicchierpienista, perché sono convinto che la Storia, con la esse maiuscola, abbia una sua tragicità e una sua forte incombenza sulla vita delle persone. Rispetto al passato oggi le informazioni si hanno, è più facile che circolino. Noi di ciò che fecero i maroniti nel campo profughi di Sabra e Chatila non sapemmo nulla fino a quando arrivarono i rapporti ufficiali. Di Tienanmen non ci sono foto. Avere un telefono con la videocamera in tasca porta una maggiore consapevolezza. Che potrebbe portare a una più rapida risoluzione di conflitti. Potrebbe, non è detto. Anche perché ai leader di tutto ciò non interessa niente».Le è dispiaciuto leggere delle parole di Claudio Cecchetto?«Mi avvalgo della facoltà di non rispondere». —