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 2024  giugno 20 Giovedì calendario

Le incognite del nuovo Fronte popolare

La nascita di un nuovo “Fronte popolare” in difesa della Costituzione potrebbe avere anche aspetti positivi, ma presenta varie incognite, che andranno considerate dopo aver consumato l’entusiasmo per la riuscita della manifestazione romana di martedì in Piazza Santi Apostoli. Il fronte – ed è un bene – è composto, non solo dai partiti di sinistra e dai 5 stelle (i centristi erano assenti e, almeno per la parte renziana, sotto sotto favorevoli al premierato elettivo voluto da Meloni), ma anche da pezzi di società civile, vedi l’appello dei quasi duecento costituzionalisti in accordo con l’allarme lanciato al Senato, nel dibattito che ha preceduto il primo “sì”, dalla senatrice a vita Liliana Segre. Si sta insomma riassemblando un movimento che punta, per vincerlo battendo il governo, sul referendum costituzionale che l’anno prossimo o al più tardi nel 2026 diventerà inevitabile, data la prevista approvazione della riforma in Parlamento a maggioranza semplice, e non di due terzi.
Con una differenza non da poco: ai tempi di Renzi il fronte spaccava il centrosinistra e, dopo il venir meno dell’appoggio di Berlusconi sul punto principale dell’accordo del “patto del Nazareno”, condannava il premier alla sconfitta. Adesso invece il “no” al premierato unisce la sinistra, malgrado le divisioni su altri temi – i principali le guerre, il rapporto con la Nato e gli aiuti all’Ucraina – che ammettono tutti i leader della composita formazione, da Conte a Bonelli e Fratoianni, passando ovviamente per Schlein e fino a una rianimata Rifondazione comunista.
Sta insomma accadendo in Italia, sul terreno della difesa della Costituzione, ciò che si è verificato in Francia dopo l’annuncio a sorpresa delle elezioni anticipate da parte del presidente Macron, e soprattutto dopo la vittoria oltre ogni previsione di Le Pen alle europee. «L’unione senza unità», come l’ha definita Marc Lazar, uno dei maggiori politologi francesi.
Qualcosa, non va dimenticato, che anche in Italia fu sperimentata nel 2006 da Prodi nella sua seconda corsa vittoriosa per il governo. In cui appunto l’Unione, un’estensione dell’Ulivo, che aveva vinto la prima volta nel’96, alle forze più radicali, batté il centrodestra per soli 24 mila voti, liquefacendosi però nel giro di un anno e mezzo per insormontabili differenze di posizione, finché Bertinotti, allora Presidente della Camera, fece calare la scure sul governo definendolo “morente”.
Volendo poi entrare nel merito delle possibilità del fronte di vincere il referendum sul premierato – che si trasformerà, anche al di là della volontà della premier, in un voto su Meloni e il suo esecutivo, esattamente come avvenne nel 2016 per Renzi, che ci mise un po’più del suo –, magari è troppo presto per valutare un quadro politico ed elettorale che si determinerà a ridosso del voto. Va considerato tuttavia che, sebbene si dica che i referendum sono imprevedibili, nella storia recente, dal divorzio, alla scala mobile ai giorni nostri, questo genere di consultazioni hanno riprodotto nelle urne la somma delle percentuali dei partiti schierati da una parte e dall’altra, con la sola eccezione, fino a un certo punto, delle votazioni del’91 e del’93 (preferenza unica e sistema elettorale maggioritario), in cui più forte era – e si fece sentire – l’ondata di antipolitica che sarebbe poi sfociata nella caduta della Prima Repubblica.
In questo senso va tenuto presente che mentre Renzi, otto anni fa, era in minoranza, e quindi candidato a perdere già all’inizio della campagna referendaria, Meloni, se saprà mobilitare il suo campo, cosa che ha dimostrato di saper fare, sarà in maggioranza. Una maggioranza anche più larga, in partenza, di quella della sua coalizione, se appunto gli elettori di Italia viva, che non sono tanti ma potrebbero dare egualmente un contributo significativo, decideranno di schierarsi dalla sua parte. È anche questa una valutazione che i leader del nuovo fronte dovrebbero fare, prima di lanciarsi a capofitto in una battaglia che da non è detto che possano vincere. Senza recuperare almeno una parte dei centristi – a partire dalla disponibilità dimostrata ieri a raccogliere le firme per un referendum abrogativo delle autonomie differenziate – e ricostruire quel “campo largo” uscito a pezzi dall’ultima stagione di amministrative e dalle europee. —