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 2024  giugno 20 Giovedì calendario

La battaglia di Laura e Martina


Laura Santi arriva in Corte Costituzionale in sedia a rotelle accompagnata dal marito e dalla sua infermiera. Martina Oppelli, invece, non può più muoversi, segue l’udienza collegata da Trieste. I giudici della Corte ieri sono tornati a riunirsi sul tema del fine vita e in particolare sui criteri che rendono legale il suicidio assistito in Italia.
Laura è di Perugia. Martina è di Trieste. Laura è giornalista. Martina è architetto. Entrambe, 49 anni, sono affette da sclerosi multipla e si battono per ottenere l’autorizzazione ad accedere, quando per loro non sarà più possibile resistere al dolore, alla procedura di suicidio assistito in Italia. Le Asl territorialmente competenti non hanno però ad oggi concesso loro semaforo verde, perché ad entrambe mancherebbe il criterio del “trattamento di sostegno vitale”. Ed è la stessa cosa che sta accadendo a molte altre cittadine e cittadini, affetti da patologie irreversibili, ma a quanto pare non in possesso del requisito di dipendenza da trattamenti di sostegno vitale. Su questo la Corte è chiamata a fare chiarezza. Il tutto – non trascuriamolo – in un clima di astio politico verso il riconoscimento di tutti i diritti civili, anche il fine vita. Laura e Martina ieri sono state ammesse all’udienza della Corte, non vogliono dover essere costrette, quando arriverà il loro momento, ad andare a morire in Svizzera. Come hanno dovuto fare altri e solo grazie alla disobbedienza civile di donne e uomini che hanno scelto di accompagnarli e poi di autodenunciarsi.
In Svizzera il suicidio assistito è legale. È uno dei pochissimi Paesi in cui anche gli stranieri – pagando – possono ricorrere all’aiuto alla morte volontaria. L’ok arriva solo se: è provata l’irreversibilità della malattia; il malato deve essere capace di intendere e volere; non c’è distinzione tra pazienti terminali a causa di un cancro o di altra patologia o anche affetti da disabilità gravi; il malato può ovviamente decidere di cambiare idea in qualsiasi momento; deve, infine, essere la persona che chiede di morire a poter compiere l’ultimo gesto per assumere il farmaco che la ucciderà.
Hanno scelto di morire così negli ultimi anni diverse cittadine e cittadini a cui è stata negata la possibilità di congedarsi nei propri letti, circondati dagli affetti più cari. Con i disobbedienti stanno da tempo rendendo pubbliche le proprie storie per spingere il Parlamento e i governi a smetterla di far finta di nulla e finalmente a legiferare sulla materia. Elena Altamira muore in Svizzera nel 2022, accompagnata dal disobbediente Marco Cappato. Mario Romano Noli muore in Svizzera nel 2022, disobbediente: Cappato. Massimiliano Scalas muore in Svizzera nel 2022, disobbedienti: Cappato, Felicetta Maltese, Chiara Lalli. Paola Ruffi muore in Svizzera nel 2023, disobbedienti: Cappato, Maltese, Virginia Fiume. Sibilla Barbieri muore a Zurigo nel 2023, disobbedienti: Cappato, Marco Perduca, Vittorio Parpaglioni Barbieri, Ivan Scalfarotto, Riccardo Magi, Luigi Manconi. Margherita Botto muore in Svizzera nel 2023, disobbedienti: Cappato, Paolo Botto, Cinzia Fornero.
Per ciascuno di questi casi si è aperto un procedimento penale presso le procure di Firenze, Bologna, Roma, Milano. I magistrati stanno ovunque chiedendo l’archiviazione per i disobbedienti, non ritenendo di poter configurare contro di loro il reato di aiuto e istigazione al suicidio. Ma a Firenze è accaduto quello che disobbedienti, attivisti, Associazione Luca Coscioni e parenti delle vittime speravano: sul caso di Massimiliano Scalas il gip, con ordinanza del 17 gennaio 2024, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale, perché il requisito del sostegno vitale sarebbe in contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 32 e 117 primo comma della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Massimiliano aveva 44 anni, toscano di San Vincenzo affetto da sclerosi multipla, patologia fonte di sofferenze per lui intollerabili. Pienamente capace di autodeterminarsi, dipendeva totalmente dall’assistenza da parte di terzi. Era stremato. Non voleva essere tenuto in vita a tutti i costi e non poteva attendere le verifiche da parte del Ssn. Così ha scelto, in totale autonomia, di andare a morire in Svizzera, dove invece non esiste il criterio della dipendenza del trattamento di sostegno vitale.
Già nel 2017 la Corte costituzionale chiamata a esprimersi dal gip di Milano sul caso Cappato/Dj Fabo con la sentenza 242/2019 ha di fatto emesso un pronunciamento storico: quello che ha introdotto il suicidio assistito. Anche in quel caso tutto è partito da una disobbedienza civile, quella di Marco Cappato. Scrivono i giudici della Corte costituzionale che il divieto indiscriminato di aiuto al suicidio «finisce per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze». La sentenza stabilisce che la persona malata, capace di autodeterminarsi, con una patologia irreversibile, sofferenze fisiche e psichiche che reputa insopportabili, dipendente da trattamenti di sostegno vitale, ha diritto di chiedere la verifica delle proprie condizioni di salute al Ssn per ottenere il farmaco letale e la modalità di auto-somministrazione.
E da allora si è aperto il nuovo vulnus. È sostegno vitale sicuramente la ventilazione meccanica a cui era sottoposto Fabiano Antoniani (dj Fabo). E l’ossigeno? La morfina? La terapia del dolore? La diagnosi irreversibile di malattia terminale come nel caso di moltissimi pazienti oncologici? La dipendenza da medicinali senza i quali non andrebbero in bagno? La dipendenza da una assoluta e completa assistenza da parte di terzi? Per il governo no. Ieri, infatti, in apertura di udienza il governo Meloni si è costituito chiedendo alla Corte di mantenere l’interpretazione restrittiva e ribadendo la sua linea politica: favorevoli solo ad un potenziamento delle cure palliative. «Il mio corpo si sta immobilizzando sempre più, ho dolori, ieri sera hanno impiegato tre ore per vestirmi. – a metà udienza Laura Santi viene portata via, è provata. – Da sola morirei di sete e di fame nel mio letto. Quello che mi viene dato non è un trattamento di sostegno vitale? Si tratta solo di ampliare l’interpretazione. Chiedo solo la libertà di avere un piano B».
«Massimiliano Scalas oggi si sarebbe divertito – racconta Chiara Lalli, che con gli altri rischia il carcere per averlo aiutato – e sarebbe stato felice di sapere che la sua scelta ci ha fatto arrivare di nuovo in Corte costituzionale. Avrebbe potuto morire lo stesso in silenzio e invece ha scelto di usare il suo corpo per rivendicare un diritto per tutti. Per questo non ho paura, non so se è saggezza o incoscienza, vorrei che qualcuno facesse lo stesso per me se domani dovessi trovarmi nelle stesse condizioni. E visto che siamo in periodo di manifestazioni antifasciste, vorrei ricordare che stiamo combattendo una legge fascista, l’art. 580 del codice penale, 1930, codice Rocco. Ecco non indigniamoci solo per simboli e saluti. Qui l’antifascismo è a casa». —