Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  giugno 20 Giovedì calendario

Pechino è pronta a colpire coi dazi i formaggi italiani

Dopo i recenti dazi di Bruxelles contro gli aiuti di Stato di Pechino all’export di auto elettriche cinesi, che entreranno in vigore dal 4 luglio, la Cina torna ad alzare le ritorsioni commerciali contro la Ue. L’Italia finisce così insieme alla Francia nel mirino delle tariffe cinesi contro formaggi e derivati del latte, che lo scorso anno valevano vendite per 83 milioni sui 540 dall’intero settore food nazionale nella Repubblica Popolare.
Per questioni sanitarie dovute alla presenza nella Penisola della peste suina, con le autorità sanitarie cinesi che avevano bloccato già due anni fa l’import, l’Italia sinora era stata solo sfiorata dalle mosse di Pechino contro la carne di maiale Ue, che vale vendite in Cina per 2,5 miliardi l’anno. La più colpita è la Spagna, che ne esporta in Cina per 548 mila tonnellate. Adesso però Roma rischia: secondo l’Istat, nel 2023 l’export nazionale di prodotti agroalimentari verso Pechino valevano oltre 540 milioni, in crescita del 5% rispetto al 2022, confermando la Cina secondo mercato in Asia dopo il Giappone. Vini e bevande alcoliche sono il primo prodotto per valore, con 100 milioni. Subito dietro si collocava la filiera lattiero-casearia, complice anche il secondo anno di bando cinese sulla carne suina italiana. Nel 2023 latte e derivati avevano fatto registrare un incremento dell’11,3% dell’export in Cina rispetto all’anno precedente, pari a 83,1 milioni. Ora queste cifre rischiano una decisa contrazione.
L’obiettivo della Repubblica Popolare è scatenare il malcontento degli agricoltori. Una lobby, quella agricola, molto attiva e influente a Bruxelles e a Roma, dove la maggior organizzazione del settore, Coldiretti, è allineata e alleata di fatto del governo Meloni.