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 2024  giugno 20 Giovedì calendario

Il vaffa di Muti alle autorità

Non se l’aspettava, il sottosegretario alla Cultura Gianmarco Mazzi. Ospite dell’“amica” Fondazione Arena di Verona, salda nelle mani della sovrintendente e sorella (nonché soprano) d’Italia, Cecilia Gasdia, poco prima del consueto galà del 7 giugno scorso per festeggiare l’apertura della stagione lirico-sinfonica estiva, il politico di FdI pensava di giocare in casa. Ma si sbagliava. Il saluto durante le prove al Teatro Filarmonico di Verona del 6 giugno, il giorno prima del grande evento, si è trasformato in una serie di bacchettate velenosissime: “Sono qui per l’amore della nostra patria… e non sono fascista, eh!”. A gelare il sottosegretario Mazzi, dopo averlo chiamato sul palco di fronte a musicisti, ballerini e coro, è niente meno che il direttore d’orchestra più famoso del mondo, Riccardo Muti.
Dalla platea parte un sonoro applauso. “Bravo!”, grida qualcuno. Il sottosegretario non si scompone. Tenta di recuperare con qualche sorriso imbarazzato. Ma le frecciatine non sono finite. Con leggerezza sarcastica e taglientissima, Muti prosegue denunciando gli affanni della cultura italiana, bistrattata da sempre, con teatri che chiudono e musicisti che non trovano lavoro. “Voi vi state adoperando, ma sono cose antiche!” accenna beffardo, senza però specificare per quale fine il dicastero del malcapitato Mazzi si stia spendendo. Dalla platea si alza un mormorio di assenso. “Le autorità – indicando il sottosegretario di Fratelli d’Italia – molto spesso vengono, e poi non si vedono più”. Si gira quindi verso il palco reale, dove solitamente siedono i politici. “Questo è un sogno che ho. Io sul podio, e il coro…”. Il pianista accenna l’introduzione del celebre Va, pensiero di Giuseppe Verdi. Suspense. “Vaaaaaffaaancc…”.
Applausi. Risate. Il coup de théâtre, con tanto di gesto ieratico della mano del maestro, scatena i presenti. Sul palco c’è anche il direttore del coro dell’Arena, Roberto Gabbiani, che si tiene debitamente in disparte. L’effetto liberatorio del vaffa lirico sembra eguagliare quello del canto dei prigionieri di Nabucodonosor. Il maestro se la ride, contento di essersi tolto un sassolino dalla scarpa. Al povero Mazzi non rimane che applaudire, anche lui. Sembra divertito, chissà, e forse ignaro che della categoria “autorità” fa parte anche lui. Eppure su quel palco d’onore, destinatario di tanta arte, a distanza di qualche ora siederanno il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il presidente del Senato Ignazio La Russa, quello della Camera Lorenzo Fontana, assieme al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Tutti all’oscuro del siparietto prima del sipario, ovvero di essere stati mandati (metaforicamente) a quel paese.
Il sequel è cosa nota, e potrebbe figurare nella cronistoria di un discorso annunciato. La prima parte della serata in onore della “Grande Opera Italiana Patrimonio dell’Umanità” procede senza intoppi. A condurre l’evento sono Alberto Angela, Cristiana Capotondi e Luca Zingaretti. Sul palco dell’Arena arrivano anche le étoile Roberto Bolle e Nicoletta Manni. L’Inno nazionale fa ben sperare. Seguono una serie di arie e ouverture di repertorio, tra cui il coro del Nabucco. L’originale, s’intende. A dirigere sempre lui, il maestro Muti. Ma ecco l’intermezzo. Il direttore lascia la bacchetta e prende il microfono: “Un’ultima cosa…”. Qualcuno nello staff trema. È tutto in diretta, per di più in mondovisione. “Adesso mi rivolgo agli uomini e alle donne di governo. L’ho detto mille volte, ma forse a qualcuno è sfuggito. L’orchestra è il sinonimo di società”. Grandi applausi. “Scusate, ho quasi finito – richiama l’attenzione -. Ci sono i violini, ci sono i violoncelli, le viole, contrabbassi, flauti, oboi, tromboni eccetera. Ognuno di loro spesso ha parti completamente diverse ma devono concorrere tutti pur avendo frasi diverse a un unico bene, che è quello dell’armonia di tutti. Chiaro?”. Ripartono gli applausi: “Non c’è il prevaricatore, infatti molte volte io continuo a dire ai miei musicisti che c’è un impedimento alla musica, ed è il direttore d’orchestra!”.
A chi si riferiva? Era un’uscita a favore della diversità? Contro il premierato, con tanto di metafora del maestro d’orchestra-padrone? Certo è che poteva andare molto peggio. Ma intanto il giorno dopo, l’8 giugno, con mezza Italia alle urne, il maestro si precipita a smentire eventuali dietrologie: “Nessuno provi a sfruttare con interpretazioni ingannevoli, proprio nei giorni delle elezioni, una frase da me pronunciata ieri sera all’Arena di Verona, di fronte al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio”.
Ci mancherebbe. Viene però da chiedersi se ci sia un Muti prima e un Muti dopo le prove (o qualche ramanzina di mezzo): “La mia era una riflessione di carattere generale, che vado esternando da anni, senza alcun riferimento alle autorità presenti, in particolare al presidente Mattarella e al presidente Meloni che, come massimi rappresentanti della nostra Italia, incoraggio con tutta la mia stima”. E con un “Va’ pensiero…”.