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 2024  giugno 19 Mercoledì calendario

Imputato Franz Kafka, alzatevi

Le sue lettere – la prima risale al 18 luglio 1971 – si distinguevano per una cordialità spesso quasi cerimoniosa, attraversata da momenti intensi di vicinanza e contrassegnata da una nitida e inesorabile precisione. La prima lettera è un dettagliato ringraziamento per i giorni trascorsi a Trieste, dove l’avevo invitato. Un giorno ci siamo incontrati con alcuni miei studenti, che ne erano rimasti impressionati tanto da fondare un «Gruppo Canetti» che li avrebbe uniti per sempre, un’amicizia che si sarebbe dedicata allo studio dei suoi libri – a cominciare da quel capolavoro inquietante che è Auto da fé (in tedesco Die Blendung, l’abbagliamento, la vita come violenta luce che accieca) – e alla discussione interna libera da ogni smania di pubblicazione.
Colpito dalle loro osservazioni sul libro, Canetti aveva voluto avere una loro fotografia, curioso di vedere il volto di chi era entrato nel cerchio magico del suo mondo poetico, grandioso e respingente, uno di quei pochi grandi libri angosciosi e sgradevoli, come un volto osservato da una distanza zero.
Ora è uscito da Adelphi, nella splendida traduzione di Renata Colorni e Ada Vigliani, il suo Processi. Su Franz Kafka. La critica kafkiana conosce capolavori come ad esempio il libro di Giuliano Baioni, Kafka. Romanzo e parabola e altri eccellenti studi critici, testimonianze e ricordi, ma questo di Canetti è un libro che crea il proprio genere letterario, ripercorrendo la vicenda e i giorni inferi di Kafka, sicché la vita intera diventa un processo di abbagliamento, la testa e il mondo si scambiano i ruoli, in un’avventura che non è la storia di una devozione individuale ma è il mondo intero stravolto.
Kafka, nel libro, non è solo la vittima del processo che subirà in famiglia che è legato al fidanzamento poi sciolto con Félice Bauer; è anche colpevole perché il suo agire si fonda sul senso e sull’esperienza della colpa. Figure centrali di questi Processi sono numerose donne, fondamentali e alla fine impossibili nella sua vita; il matrimonio cercato, sfiorato ma sempre eluso diventa la chiave della sua esistenza, lo scenario della sua fallita salvezza e delle sue colpe. Félice, Milena, Dora, Julie, Grete, il tribunale delle riunioni di famiglia e della condanna per l’inadempienza del matrimonio, la necessità e il dovere di essere un uomo ossia di fondare una famiglia, e il colpevole fallimento di ogni passo in questa direzione. Canetti parla di una metaforica «incestuosa familiarità; ovunque posi il piede, avverte l’insicurezza del suolo». Suolo impossibile e necessario.
Processi si misura genialmente con quel Teatro del mondo che sono state la letteratura e l’arte del Novecento, navi talora affondate che affiorano a pelo d’acqua ancora da esplorare. È affascinante che Canetti, qui, metta in un certo modo al vertice della letteratura del Novecento Robert Musil ed è probabile che la voce che sentiamo ancora come la più grande sia quella dell’Uomo senza qualità.
I Processi sono un rito, con la loro inesorabile liturgia e talora è difficile capire se abbiano a che fare col futuro o col passato, con la vita o con la morte. Con il loro ordine, tuttavia il mondo non è senza testa come in Auto da fé; in qualche modo fronteggia la morte e il disordine, la loro vertigine. Tutto questo non è certo facile, ma, come dice il titolo di quel volume che raccoglie le lettere di Canetti, «da Lei mi aspetto molto…!».