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 2024  giugno 19 Mercoledì calendario

Il talento di Mr. Caravaggio amico americano

Di recente Michelangelo Merisi detto il Caravaggio ha ricevuto visite di personalità da più parti ritenute a lui affini per gusti e temperamento, anche se la casistica è varia come sa bene Tom Ripley, personaggio immaginario creato da Patricia Highsmith ma non per questo meno reale e incisivo. Ripley non è un esperto d’ arte e sembrerebbe nutrirsi di pensieri convenzionali, ma il suo incontro col Caravaggio, inventato di sana pianta, ha un senso profondo in una fase storica come questa e può interessare anche chi non sia strettamente addetto ai lavori letterari e artistici e non sia bene informato del fatto che Patricia Highsmith ha creato Ripley arcicattivo, crudelissimo, cinico, furbo e proprio per questo non troppo intelligente. Ma, in apparenza almeno, astuto e degno di confrontarsi con un genio quale di certo fu il grande pittore del Seicento.
Di questo e molto altro parla la formidabile miniserie, di grande impatto e successo, intitolata seccamente Ripley (8 puntate su Netflix) concepita e diretta da un maestro della cinematografia attuale, l’americano Steven Zaillian, vincitore nel 1993 dell’Oscar alla migliore sceneggiatura per Schindler’s List di Steven Spielberg.
La grande scrittrice dovette amare molto la detestabile figura di Ripley tanto da dedicargli ben cinque romanzi scaglionati tra il 1955 (Il talento di Mr. Ripley ) e il 1991, quattroanni prima della morte nel 1995 in tristi circostanze di solitudine e malattia, tali da farcela adesso sembrare, sul versante femminile, una specie di Pasolini americana anche se l’America la abbandonò presto vivendo gran parte della sua vita in Svizzera e sempre in condizioni di costante tormento e impetuosa creatività.
Impetuosa ma del negativo, e proprio qui un qualche parallelo pasoliniano trapela. Ripley è un amorale forse perché anaffettivo assoluto. Comincia come truffatorello da quattro soldi in un mondo che è squallore e mortificazione. Ma per circostanze fortuite scopre che esiste un mondo attestato al capo opposto dello squallore e della paura, dove vigono amore e amicizia, conversazione, lettura, arte. Ma Tom Ripley non è in grado di vivere così. Capisce soltanto di essere escluso. Allora comincia a uccidere tutti quelli che lo fanno sentire un estraneo. Si impossessa dell’identità dell’amico che avrebbe dovuto assistere in un momento difficile per lui. Lo ammazza e da lì si dipana una storia di morte e inganno perpetuo. La vicenda parte da Atrani, nell’Italia degli anni Sessanta. E qui entra, nella serie, non nel romanzo della Highsmith, il Caravaggio.
Ripley arriva a Napoli e vede le Opere di misericordia del Merisi. Pochi mesi prima di dipingere quel capolavoro potentissimo, il Caravaggio si era macchiato di omicidio, a Roma, e probabilmente senza volerlo. Ma tant’è. Era dovuto scappare e a Napoli fu accolto con tutti gli onori perché si sapeva già che era il più grande pittore di tutti i tempi. Ripley lo avverte. Del resto sono colleghi, anche Ripley ha appena commesso un omicidio, ma con agghiacciante consapevolezza. Poi vedrà altre opere del Caravaggio, soprattutto il Davide con la testa di Golia della Galleria Borghese a Roma, dove la testa decollata è l’autoritratto del Merisi.
Sembra quasi che Ripley senta l’esigenza di andarselo a cercare, il Caravaggio, per una specie di ripetuto accertamento delle proprie responsabilità. Come se interrogasse le opere che non possono rispondere, ma incombono a loro volta assillando lo spettatore. Una specie di calamita che attira, lo si voglia o no.
Roberto Longhi aveva insegnato una cosa del genere a Pasolini quando era suo studente e in effetti quell’impronta rimase indelebile nell’animo del celebrato scrittore. E forsel’immensa grandezza del Caravaggio si impone proprio in questo.
Allora, una volta conosciuto, sarà bene andarlo ripetutamente a cercare, e meglio se nei luoghi stessi dove ha depositato le sue opere immortali. Di recente lo ha raccontato molto bene Francesca Cappelletti in un libro efficacissimo, lineare e assai istruttivo Caravaggio e come cercarlo, alla Galleria Borghese, a Roma e in giro per il mondo (Editori Paparo, Napoli).
Verrebbe da pensare che il Ripley di Zaillian farebbe bene a leggerlo con attenzione e nostra soddisfazione. L’autrice ricorda come fosse il guardarobiere Jacomo Manilli, nella prima guida (1650) della Galleria Borghese a spiegare le cose quando, sul Davide e Golia, annota che nel volto del gigante Caravaggio «volle ritrarre se stesso». Ma, cosa volesse dire con precisione, è poi opportuno chiederlo di nuovo a tutti i Ripley di ogni tempo e non solo a loro, perché c’è qualcosa in questa indagine affascinante e ininterrotta molto al di là del male oscuro che, essendo tale, non si vede veramente ma si percepisce come una minaccia e una lusinga insieme.
Non è agevole separarle.