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 2024  giugno 18 Martedì calendario

Eroi o reietti? Whistleblower, 9 volte su 10 pagano loro

“Ero consapevole del calvario a cui andavamo incontro e dello squilibrio di forze anche economiche in campo, allora chiesi a mia moglie di abortire”. Nel 2013 il dirigente delle Dogane Lucio Pascale denunciò un concorso truccato e la tempesta delle ritorsioni che subì lo portarono a sacrificare un figlio. Sarà padre, ma sei anni dopo. Nel 2016 lo statistico attuario di Poste Italiane Francesco Morelli fece saltare il banco di una frode milionaria. Come “premio” fu mobbizzato e trasferito per ben 18 volte, finendo poi proprio nell’ufficio dei dirigenti infedeli che aveva denunciato. Il suo ultimo incarico? Data entry, copia-incolla dati e “svuotamento archivi per il macero documenti”. Per far fronte alle spese legali però ha venduto casa e dorme attaccato a un ventilatore polmonare. Un altro whistleblower ci riesce, ma solo con 52 gocce di Roipnol che tiene sul comodino. Che prezzo paga in Italia chi denuncia il malaffare?
Per capirlo abbiamo rintracciato 20 whistleblower di enti, luoghi e mestieri diversi e gli abbiamo sottoposto un questionario con 20 domande. Il verdetto è sconvolgente: i disonesti non pagano quasi mai, mentre chi si è esposto, è stato catapultato in un vortice di conseguenze materiali (e non) dall’impatto devastante, che perdura anche a distanza di anni. L’arco temporale dell’indagine va dal 2010 al 2023: sono solo 7 i casi che si sono risolti del tutto, 13 sono ancora nel gorgo delle cause di lavoro o per diffamazione, una si trascina da ben 14 anni. Anche per questo 18 whistleblower su 20 ritengono di essere stati tutelati poco o affatto, compresi 11 il cui calvario si consuma anche dopo il 2017, quando entrò in vigore la legge che doveva blindare chi denuncia garantendo canali anonimi e speciali protezioni da ritorsioni interne. Da un anno è in vigore la nuova normativa che promette di far meglio, con quali esiti è ancora da capire (vedi l’intervista a fianco). Il questionario per ora dice che la legge ha funzionato perlopiù al contrario: in 16 casi su 20 i responsabili di illeciti, mobbing e ritorsioni, persino se condannati in via definitiva, sono rimasti al loro posto, in 13 casi sono stati addirittura promossi. Tutti i whistleblowers, tranne due, hanno dovuto farsi carico di spese legali ingenti: 7 fino a 10 mila euro, 10 hanno speso tra 10 e 50 mila euro, tre da 50 a 100 mila. Marisa Arcuri denunciò al suo datore una falsa dirigente all’Inps di Crotone. “Adesso è in corso la causa che la vede imputata per truffa, dovrà risarcire lo Stato per circa 2 milioni di euro di stipendi non dovuti”. Nel frattempo Arcuri finì mobbizzata e demansionata e ancora attende giustizia. “Per tutto quello che è successo dopo la segnalazione – racconta – ho dovuto fare dei finanziamenti per pagare i legali”. I responsabili, invece, raramente pagano. Nella metà dei casi sono stati difesi dai legali dell’ente d’appartenenza, in 11 su 20 l’ente stesso è stato rappresentato da legali interni o dall’Avvocatura dello Stato. È l’asimmetria tra il rischio del segnalante e quello che corre l’autore delle ritorsioni. Più che a perseguire questi ultimi, le tasse dei contribuenti sono utilizzate per zittire, isolare e colpire i servitori fedeli allo Stato.
Prende gastroprotettori Ciro Rinaldi, il dipendente che denunciò i fannulloni dell’ispettorato territoriale dell’Emilia-Romagna che timbravano e andavano in palestra o a fare la spesa. “Solo due sono stati licenziati, mentre 7 condannati sono tuttora in servizio e hanno fatto carriera diventando capo settore”, racconta. Lui è stato denunciato e mobbizzato. A causa di un disciplinare mai cancellato continua a subire decurtazioni nel giudizio che vale progressioni economiche. Lo stesso accade a Vito Sabato ex funzionario della mobilità al Comune di Pavia. Nel 2007 denunciò appalti gonfiati per due milioni, la vicenda fu confermata fino in Cassazione. Idem per la vendita illecita a privati di alloggi dell’Università. Trasferito, non è stato più reintegrato, con conseguenze sulla salute. Ha vinto una causa per mobbing ottenendo la malattia professionale ed è stato assunto al Comune di Miradolo Terme. Il suo superiore è stato condannato a 4 anni per violenza privata e poi prescritto in Cassazione, lui si trascina ancora, come una valigia, il disciplinare che gli fu comminato allora. “La riservatezza è solo sulla carta, quando succede si sa chi ha segnalato perché appena arriva la Gdf a prendere i documenti tutti capiscono chi è la fonte”. Adriano De Gasperis nel 2017 denunciò la cricca dei biglietti clonati in Atm: fu licenziato, denunciato e reintegrato due volte dopo tre anni senza stipendio. Ma non all’ufficio security dove stava: all’armamento binari di Precotto, senza una linea telefonica esterna così non fa danni. È l’unico amministrativo, gli altri fanno la notte in galleria e nei cantieri, per questo è spesso solo in ufficio. Per difendersi ha già speso 50 mila euro, per difendersi da lui l’azienda municipale ha sostenuto il doppio di spese processuali. L’indagine penale per mobbing è ancora in corso. I colleghi si sono mostrati pienamente solidali con il whistleblower solo in un caso su 20, otto per nulla e in 11 “solo alcuni”. “Quelli del mio team furono solidali, all’inizio”, racconta Carlo Bertini, l’ex funzionario di Bankitalia che scoperchiò lo scandalo dei diamanti al Monte Paschi. Nel 2023 è stato licenziato per la seconda volta per aver osato rendere pubblica la vicenda. “Una collega aveva scritto in mio favore, ho prodotto audio, stringhe whatsapp, ma non sono stati ammessi dal Consiglio Superiore che mi ha destituito né dal Tar. Ho scritto svariate volte all’Anac che mi ha chiesto chiarimenti. La legge si rivelava un boomerang: ti spinge a segnalare e poi non ti protegge”.
Un punto dolentissimo. L’Anticorruzione ha compiti di vigilanza anche sulle ritorsioni, di cui ora deve rendere conto all’Europa, ma è intervenuta in 10 casi e in 7 non lo ha fatto “anche se sollecitata” a farlo. Non ha mai avuto i mezzi per farlo e anche questo ha contribuito a un certo scoraggiamento. “Le norme sul whistleblower? Servono a farli uscire allo scoperto così possono prendere meglio la mira…”, dice Alessandro Canali, demansionato e licenziato dalle Dogane per aver segnalato le irregolarità del direttore. Dopo due anni ha avuto giustizia dal tribunale del Lavoro ma il suo giudizio resta netto. “Il responsabile anticorruzione che doveva proteggermi per ben 5 volte è andato in Procura a denunciare ogni tipo di condotta ritorsiva, anche nei suoi confronti, e non è accaduto proprio nulla, fronte giustizia, fronte Anac”. Il suo ex collega della Direzione Antifrode Miguel Martina ha portato a galla truffe milionarie sulle mascherine “in pregiudizio della salute pubblica”, ma quando ha deciso di denunciare superiori e colleghi è stato colpito da disciplinari a raffica. “Quella dei whistleblower in Italia finisce per essere una commedia grottesca. Bisogna lottare di più, non di meno”. Lo spiraglio di una casistica che toglie ogni speranza arriva alla fine: “Lo rifaresti?”. In 16 rispondono “sì, tutto”, anche quelli che hanno pagato dei prezzi altissimi alle falle del “sistema”. Qualche raro caso si è concluso felicemente. Andrea Franzoso smascherò le ruberie del presidente di Ferrovie Nord, ne scrisse un libro (Il disobbediente, 2018) e contribuì a far approvare la legge sui whistleblower. Ne ha poi scritti altri di successo e si è trasferito in Alto Adige. “Le norme non saranno mai adeguate, è la cultura della legalità che manca. Nei colloqui tutti a complimentarsi per il mio coraggio, poi venivo scartato, meglio non assumere uno che denuncia. Tutti a favore del whistleblowing, non del whistleblower. Però lo rifarei, sono felice”.