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 2024  giugno 18 Martedì calendario

Cosa cambia nel Pd dopo il voto

Se dopo il voto europeo la strada della destra è accidentata, quella della sinistra non è da meno. Il che può essere persino positivo. Nel grande disordine sotto il cielo, ogni segmento del nuovo bipolarismo italiano potrebbe individuare nei prossimi mesi il proprio sentiero originale. A patto di rispondere ad alcune domande fondamentali. La prima riguarda le sorti del “campo largo”: era in bilico già prima del 9 giugno, ma ora – dopo la sconfitta di Conte – quell’ipotesi sembra sfumare nel passato. Il M5S non è destinato a rafforzare la collaborazione con il Pd, bensì a radicalizzarsi ancora. In tutti i casi: sia che Conte salvi la poltrona, ma al prezzo di trasformarsi in un leader dimezzato, per non dire peggio; sia che Grillo, tornato a muoversi dietro le quinte, imponga la romana Raggi al posto dell’avvocato pugliese, sia che alla fine vinca la torinese Appendino, peraltro assai frenata dalla Cassazione. Tutti nomi favorevoli a un ritorno all’antico, ossia alla contrapposizione con il Pd tipica della prima fase del “grillismo”.
Se fosse così, si potrebbe immaginare che i 5S vogliano soprattutto rinegoziare il loro rapporto con il centrosinistra di Elly Schlein. Ma non sarebbe una via agevole: già con Conte si è visto che l’ambiguità non paga, riproporla dopo la sconfitta rischia di non portare fortuna al movimento e nemmeno al Pd. Dunque il fatidico “campo largo” si è già ridotto a un campetto. Più forte e autorevole il partito democratico, più deboli nell’equilibrio delle forze gli alleati possibili: dal gruppo Fratoianni-Bonelli a +Europa (Bonino), con un punto interrogativo su Azione (Calenda). Quanto a Renzi, come si sa, c’è un antico ostracismo. E sui 5S al momento è meglio non fare conto, in attesa che si consumi lo psicodramma interno. In altri termini, l’idea di costruire una coalizione vecchio stile sembra superata dai fatti, a meno di non voler proseguire lungo la via di una linea molto radicale (non a caso l’alleato più solido in tal caso sarebbe l’Alleanza Verdi-Sinistra).
Non è strano allora che una suggestione, forse solo quella, stia serpeggiando all’interno del Pd presso gli ambienti “riformisti”. Ne ha fatto un rapido cenno Giorgio Gori nell’intervista a De Angelis per Huffington-Post. Se le alleanze allargate non sono praticabili, la crescita del Pd può restituire attualità alla “vocazione maggioritaria”. Il che vorrebbe dire riunire nella cornice del maggiore partito del centrosinistra tutti coloro che vogliono contribuire allo sviluppo di un’idea di governo. In sostanza, un’idea riformatrice. Non c’è alcun intento polemico nei confronti della segretaria Schlein, né avrebbe senso logico dopo il voto europeo. Ma forse una simile iniziativa aiuterebbe a restituire un tetto a figure che hanno qualcosa da dire e che altrimenti finirebbero emarginate. Del resto, anche Romano Prodi, nell’intervista pubblica raccolta da Francesco Bei a Bologna, ha sollecitato il Pd a mettere a fuoco una proposta politica per l’alternativa, come dire un manifesto per il governo – comprese le compatibilità economiche – che vada al di là degli “slogan” accattivanti buoni per la campagna elettorale. Aiuterebbe anche il confronto sulle riforme, per non regalare a Fratelli d’Italia lo stendardo immeritato di innovatori a cui si contrappone il “fronte del no”.