La Stampa, 17 giugno 2024
Intervista ad Alessandra Mussolini
«Sostenere i diritti le dona». Nessuno ha riportato questa risposta che una ragazza ha indirizzato, su X (fu Twitter) ad Alessandra Mussolini, ex europarlamentare di Forza Italia, sotto la sua dichiarazione in difesa del Pride. Questa: «L’autodeterminazione, il bando di qualsiasi discriminazione di genere, la definitiva archiviazione di quella odiosa morbosità che si scatena su ogni tematica collegata alla sessualità: questo è quello che dobbiamo augurarci per il nostro futuro, ed è lì che una sana evoluzione della nostra società deve portarci. Si tratta di una cosa semplice. La libertà è la cosa più preziosa e più semplice che c’è». Invece, a venire riprese, commentate, inoltrate sono state le parole d’odio, le recriminazioni che le hanno contestato: di essere fuori linea rispetto al suo partito, Forza Italia, e alla maggioranza di governo di cui fa parte; di voler giustificare l’utero in affitto; di «essere forse diventata lesbica?»; di voler sposare «le battaglie del politicamente corretto» per occultare le malefatte del marito, condannato per prostituzione minorile (scandalo baby squillo dei Parioli, 2015). Simone Pillon le ha scritto: «Uniformarsi alle carnevalate ideologiche, oscene e blasfeme dei kompagni è umiliante e sintomo di inferiorità culturale».
In verità, Mussolini ha da tempo cambiato rotta su diritti civili. Ha sostenuto il ddl Zan, nel 2021, 15 anni dopo aver detto a Vladimir Luxuria, durante un alterco a Porta a Porta, «Meglio fascista che frocio»; a febbraio 2023, da europarlamentare, ha rifiutato il passaporto diplomatico per denunciare come discriminatorio l’obbligo di dichiararsi maschi o femmine.
Mussolini, mentre lei prendeva posizione a favore del Pride, la premier Meloni in chiusura del G7 rivendicava che, sui diritti, il governo non ha fatto alcun passo indietro.
«Ma nemmeno in avanti. L’anno scorso l’Italia ha posto il veto in Consiglio europeo sul regolamento che uniforma le procedure di riconoscimento dei figli in tutti gli Stati dell’Unione, di modo che i bambini nati in famiglie omogenitoriali vengano automaticamente riconosciuti come figli di entrambi i genitori, cosa che avviene in tutta Europa ma non da noi: da noi, il genitore non biologico deve adottare il bambino. È assurdo almeno quanto il fatto che i single non possano adottare. Gli italiani non godono di diritti che altrove sono consolidati, quindi, se anche il governo non ha fatto passi indietro rispetto alle nostre leggi, è rimasto indietro rispetto all’evoluzione della nostra società e indietrissimo rispetto all’Europa, di cui fa parte. In campagna elettorale, più che sentire parlare di questo, ho sentito cose invereconde sull’aborto».
Quali?
«L’importanza di indurre il ripensamento nelle donne che decidono di abortire. Anche se è stato detto in termini più gentili. Dovremmo affrontare, invece, la questione dell’obiezione di coscienza, che è una violazione del giuramento di Ippocrate ed è, soprattutto, pericolosa per chi decide di interrompere una gravidanza: allunga i tempi per farlo e aggrava il peso psicologico che può derivarne».
La scrittrice Dacia Maraini ha detto a questo giornale che dovremmo inserire l’aborto in Costituzione, come è stato fatto in Francia. Che ne pensa?
«Non mi convince perché l’aborto è una libertà individuale, ma è pur vero che garantirla in Costituzione significherebbe rendere anticostituzionali gli obiettori di coscienza. Sarebbe un ottimo escamotage. Quasi quasi…».
Senta, lei è pronta per il Pd.
«Neanche per sogno, sto bene dove sto. Forza Italia ha una visione laica e inclusiva, io ho sempre detto quello che penso e non ho mai ricevuto pressioni. E poi il Pd non è un partito particolarmente coraggioso in tema di diritti. Al parlamento europeo sono stata io a porre il problema dell’identità di genere, mica la sinistra».
Ma il Pd ha proposto il ddl Zan.
«E io l’ho sostenuto».
Sabato Elly Schlein è salita su un carro del Pride.
«È brava e in questo momento vive una congiuntura favorevole, ma più delle persone mi interessano i programmi».
Mi dica tre punti del suo programma ideale in tema di diritti.
«Gliene dico due. Primo, riconoscimento dei minori a prescindere da dove e come siano nati. Secondo, pagare le donne più degli uomini: aggiustiamo il gap salariale, mettiamo le donne in condizione di essere indipendenti, e rafforzeremo la loro capacità di denunciare le violenze, quindi di arginarle. Ecco cosa dovremmo mettere in Costituzione: che le donne guadagnino non quanto gli uomini, ma un po’ di più, così che possano pagarsi gli assorbenti, le terapie ormonali per la menopausa, la cura e l’assistenza durante la gravidanza e l’allattamento. Ci sono donne che non hanno neanche un conto corrente e dobbiamo sentire maschi che straparlano di pensioni che non pagheremo perché le donne non fanno figli?».
Non è preoccupata dalla crisi demografica?
«Ai maschi che lo sono, dico: signori, i figli fateli voi. Noi, per parte nostra, abbiamo già abbastanza guai: la violenza sessuale, la povertà, l’orologio biologico, gli obiettori di coscienza, i maschi che sembrano impazziti. C’è il crollo demografico? Oltre che alle pensioni, a chi lede? La denatalità è un fatto strutturale. È andata così, come dice mia figlia: è diventato il mio mantra».
Significa accettare la realtà?
«Significa non negarla, che è il primo passo per migliorarla».
Perché la politica di questo Paese diffida ancora delle forme d’amore non tradizionali?
«Perché da sempre la sessualità è vissuta con morbosità. In Inghilterra c’è la X, not prefer to mention, per esprimere il proprio genere: essere maschi o femmine non è determinante, quindi non può diventare discriminante».
Lei fa parte di una compagine politica che contribuisce a mantenere i tabù che alimentano quella morbosità.
«Non penso sia colpa dei partiti. In America succede da prima e noi, provincialotti, abbiamo copiato: le posizioni oscurantiste su questi temi non le prendono i partiti, bensì i gruppi e le lobby che li influenzano».
Come i prolife, secondo i quali lei, sostenendo il Pride, sostiene la maternità surrogata.
«Le dico questo: nel 2003 presentai un emendamento alla legge sulla procreazione medicalmente assistita, per la diagnosi pre-impianto, alla quale ero favorevole. Gli ultracattolici mi accusarono di voler legalizzare una pratica eugenetica. Secondo loro, qualsiasi cosa si creasse in laboratorio, andava poi messa nell’utero delle donne, perché tanto, poi, se qualcosa andava storto, potevano sempre abortire. In quel caso l’aborto lo ammettevano».
Insisto: la sua compagine politica include e tollera tutto questo.
«I prolife, come tutti, sono liberi di dire cosa vogliono, ma noi dobbiamo avere chiare le cose che non si possono più mettere in discussione. Sui diritti si deve andare avanti e non indietro: si deve alzare l’asticella, come nel salto in alto».
Dei salti in basso del Papa che parla di frociaggine cosa pensa?
«Gravissimo. Viene da pensare che si sia trattato di uno scherzo dell’intelligenza artificiale».
Lei quando ha cominciato a cambiare idea?
«Il passato non c’è più, il futuro non esiste. Vivo nel 2024 e accolgo la direzione che il mondo ha preso. Ho certe posizioni da anni e le ho affinate ed esplicitate nel tempo, anche perché ho imparato a sentire sempre meno il peso delle linee di partito».
Dove ha preso la tutina blu che indossa nella foto che ha condiviso insieme al suo status sul Pride?
«Su Amazon. Le ali arcobaleno, invece, le ho fatte io».
A Pillon cosa risponde?
«Che è un poveretto senza argomenti».
Le è dispiaciuto non essere eletta all’europarlamento nelle ultime elezioni?
«No. E non perché non ci tenessi, ma mi sono liberata di questa idea colpevolizzante e gravosa secondo cui le preferenze sono un voto solo su di te: dentro, invece, ci sono decine di variabili. E poi, ho fatto tre legislature europee: stavolta è andata così».
Lei sembra felice.
«Sono capricorno e leopardiana, ma mi impegno nel contenere i pensieri negativi. Ogni giorno, verso l’imbrunire, faccio questo esercizio: elenco le cose buone, ricaccio via quelle cattive».