il Fatto Quotidiano, 17 giugno 2024
Intervista a Giuseppe Conte
A una settimana dalla sconfitta elettorale, Giuseppe Conte sostiene che a contare sono sempre e innanzitutto identità e prospettive: “Noi 5Stelle non saremo mai un partito tradizionale, uno di quelli che costruisce apparati di potere e fa di tutto per continuare a gestirli. Se perdessimo la nostra forza innovatrice, sarebbe meglio estinguerci, anzi biodegradarci, come dissero a suo tempo i suoi fondatori. Ma ad oggi non vedo affatto questo rischio”.
Subito dopo le Europee lei ha ventilato di “farsi da parte”, anche durante l’assemblea con i parlamentari del M5S. Ha parlato di dimissioni per dimostrare che non ci sono alternative alla sua leadership? E quella opzione ormai è ritirata?
È stato un atto di responsabilità per aprire una seria riflessione interna, non dando nulla per scontato, neppure la mia leadership. Ne è nata una discussione molto schietta, sia in assemblea con gli eletti che in Consiglio nazionale, con un forte approccio costruttivo. Ho avvertito la forza propulsiva di cui parlavo, non è nel nostro Dna vivacchiare.
Lei resta, insomma.
Nessuno, tra tutti quelli intervenuti, ha posto il tema della mia leadership. Ma la mia guida è funzionale a un progetto, per cui torneremo a discutere di questo nella Costituente. Sarà l’occasione per riaffermare la nostra identità, e definire temi e obiettivi di medio e lungo periodo. Nel momento in cui non fossi più utile al progetto, mi farei da parte, sempre pronto a dare il mio contributo al M5S.
Molti parlamentari le hanno elencato errori, dalle liste deboli all’eccessivo accentramento. Cosa ha sbagliato nella campagna elettorale?
Mi assumo tutta la responsabilità del risultato, per non aver mobilitato i cittadini convincendoli dell’importanza di rinnovarci la fiducia.
Avete insistito troppo sulla pace e non avevate parole d’ordine nuove?
I cittadini hanno sempre ragione, ma non ha senso dire che abbiamo sbagliato temi che hanno radici profonde nei nostri principi e nei nostri valori, che per noi non sono derogabili. Abbiamo casomai sbagliato nel declinarli e comunicarli.
Giorgia Meloni voleva polarizzare il voto rendendolo una sfida con Elly Schlein, e ci è riuscita.
Sicuramente la polarizzazione voluta da Meloni, d’accordo con Schlein e con la complicità dei mezzi di informazione, non ci ha favorito. In passato sarebbe stato facile supplire con la capacità pioneristica del M5S di usare i social network. Oggi sui social ci siamo tutti.
Dopodiché c’è il nodo delle liste fragili, e quindi della regola dei due mandati, che la grandissima parte dei parlamentari vorrebbe togliere. L’assemblea costituente sulle regole che lei ha annunciato è la via per cambiarla?
È un tema delicatissimo, di cui si discuterà anche nell’assemblea. È un principio su cui è nata la nostra comunità. Confido solo che nessuno assuma questo tema, a seconda dei punti di vista, come il capro espiatorio delle sconfitte elettorali o come il talismano della nostra esistenza. Una comunità matura affronta il problema in modo serio, collegandolo al tema della crescita sui territori, dove sicuramente torna utile una classe dirigente con l’esperienza accumulata nel tempo.
Lei ha appena visto Beppe Grillo a Roma. Il Garante resta contrario a toccare la regola, giusto?
Per Grillo i due mandati sono una regola fondativa, è noto. Ma venerdì scorsa abbiamo parlato come sempre anche di futuro, per esempio di robotica e di intelligenza artificiale.
Secondo Luigi Di Maio lei ha tolto l’anima ai 5Stelle, mentre Grillo “ha 300mila buoni motivi per tacere”, chiaro riferimento al contratto del fondatore con il M5S.
Forse è arrivato il momento di chiedere scusa agli elettori del Movimento rimasti delusi per il nostro sostegno al governo Draghi. Mi scuso innanzitutto io, anche se è noto che la mia posizione fu motivata solo dal fatto di difendere le riforme del Movimento in un momento tragico, con la gente in fila per i tamponi. Però la folgorazione di alcuni nostri ministri per quel governo, sino al punto di rinnegare valori e principi professati per anni, ha avuto per noi conseguenza disastrose, minando la nostra capacità di difendere l’agenda sociale del M5S. Sentirli inneggiare ancora oggi all’agenda Draghi come fosse un testo sacro rischia di riaprire una ferita, che però vogliamo rimarginare.
La concorrenza di Schlein, che vi ha tolto spazio a sinistra e vi ha sottratto bandiere, come il salario minimo.
Le nostre battaglie sono diventate di moda anche tra chi come il Pd si oppose al reddito di cittadinanza e alla legge Spazzacorrotti e non voleva il salario minimo legale. Ma questo è un bene, perché le nostre proposte sono diventate tema di battaglia comune per il fronte progressista. Noi dobbiamo continuare ad anticipare i temi, come la riduzione dell’orario di lavoro e l’intelligenza artificiale, su cui stiamo consultando i cittadini. E spero che i cittadini comprendano che sulla legalità e la giustizia si gioca una battaglia essenziale, di cui il M5S è protagonista. Non mi pento di non avere ingannato i cittadini evitando di mettere il mio nome sulla scheda elettorale anche se questo avrebbe migliorato il 9,99 per cento di consenso elettorale. I principi sono principi.
Ma ora starete al tavolo con il Pd in una posizione di subalternità.
Abbiamo sempre detto che questo voto sarebbe stato un singolo passaggio di un percorso più ampio, necessario per costruire l’alternativa al governo Meloni, e questo vale anche oggi. Noi lo intendiamo come un confronto tra pari, nel rispetto dei nostri valori e delle nostre peculiarità.
Schlein sabato era al Gay Pride di Roma, lei no. Perché?
Per un impegno personale. Ma c’erano molti nostri rappresentanti, da Maiorino a Tridico e tanti altri. E io stesso ho diffuso un chiaro messaggio.
Secondo Meloni il G7 è stato un successo. Condivide?
Non mi sembra abbia segnato svolte storiche, aggettivo decisamente abusato dalla Meloni. L’unico fatto storico è stata la partecipazione del Papa. Dopodiché abbiamo avuto mediazioni scontate sugli aiuti all’Ucraina, e il tentativo, per fortuna fallito di ridimensionare i diritti lgbtq+ e quello all’aborto, temi sminuiti da Meloni con il termine “compagnia cantante”. Anche il richiamo alla necessità di contrastare il traffico di esseri umani e di aiutare l’Africa mi pare scontato.
Rispondendo a una domanda sull’aggressione al deputato del M5S Donno, la premier ha parlato di “provocazioni” da parte dell’opposizione.
Ha di fatto giustificato i calci e pugni nell’Aula della Camera. È gravissimo. Ma è anche un triste epilogo per quelli che si definiscono patrioti considerare il tricolore portato da Donno come un’offesa. D’altronde Meloni sta dando il suo via libera all’autonomia differenziata, una secessione che tradisce il Sud e spacca il Paese, condannando a morte i servizi e la sanità nelle aree più in difficoltà del Paese. Così abbraccia l’anti-italianità della Lega. Per questo invito tutti a unirsi a noi in piazza a Roma, martedì, per dire no a questo scellerato progetto di autonomia differenziata.
La conferenza di pace in Svizzera conferma che la trattativa tra Russia e Ucraina è difficile, no? Putin non pare avere alcuna voglia di negoziare.
Assolutamente, nonostante al tempo stesso confermi che la necessità di un accordo è oggi una realtà irrinunciabile, per tutti. Bisogna continuare nel coinvolgimento di ambo le parti; ogni accordo di pace dopo qualunque conflitto, anche il più aspro, si è concluso quando intorno al tavolo si sono seduti i contendenti.