la Repubblica, 17 giugno 2024
La nuova contesa tra destra e la sinistra
Ma non erano morte, la destra e la sinistra? Non come partiti, s’intende, ma come coppia antagonista capace di esprimere un criterio di interpretazione del mondo organizzando intorno a sé l’intero sistema politico, per disciplinare valori, interessi, rappresentanza, senso della storia. Soltanto pochissimi anni fa, il funerale politico di questo meccanismo era annunciato dovunque, con la soddisfazione di chi voleva chiudere i conti non solo con le vecchie ideologie, ma anche con le storiche categorie che hanno governato il confronto politico per più di cent’anni, nella contesa per la conquista dell’anima del secolo. Trattati come ferrivecchi, per di più arrugginiti, quei due pensieri politici egemoni venivano dichiarati scaduti nella loro combinazione, quindi fuori corso, e invitati ad arrotolare le loro bandiere per assistere al sicuro declino delle loro organizzazioni scartate dalla storia: che proseguiva il suo cammino libera dalle ipoteche culturali ereditate dal Novecento, consegnandosi nuovamente vergine agli schemi e alle formule della modernità, dettate dai codici della nuova epoca, soggiogata dal Reset Universale.
D’altra parte sembrava conclusa l’età del grande conflitto. Finiva il comunismo e la vittoria occidentale nella guerra fredda, dopo la sconfitta del nazismo, sembrava lasciar spazio soltanto alla democrazia, nuovo criterio universale di lettura e riorganizzazione della realtà. Spariva con l’Urss il nemico ereditario dell’Europa, che con le propaggini gregarie insisteva sul suo stesso spazio continentale, allargando all’Asia il suo impero di terra che si era contrapposto alla proiezione sul mare della scelta atlantica europea. Democrazia per tutti come cifra del nuovo mondo, dunque, a costo di esportarla, liberismo come progetto comune inevitabile, egemonia occidentale come destino, con gli Stati Uniti alla guida di un sistema globale senza più Est e Ovest. Nel quadro completamente nuovo, le vecchie parole e le formule del passato dovevano perdere senso, fino a smarrirsi consumandosi.
E invece la storia si è ribellata, senza preavviso. La Russia non riconosce la sua sentenza, e non accetta di aver perso la guerra fredda, Putin incoraggia questa eresia orientale trasformandola in una frustrazione nazionale, da eccitare con la promessa di una riconquista dell’impero assegnato a Mosca come destino, e immediatamente contrapposto all’Occidente e alla democrazia. In una perversione dei simboli, non c’è evidentemente nulla di sinistra in questa reinterpretazione sovrana della realtà: e infatti il risultato è un imperialismo reazionario che travolge il diritto e i diritti in Ucraina. Ma c’è un’ipotesi di sovversione del mondo e delle regole di convivenza che insidia la stessa coesistenza. E c’è in più l’appello alla ribellione contro il primato dell’Occidente, e infine la suggestione di una secessione dalla democrazia, cioè di una moderna rivoluzione finale che può cambiare la mappa politica del mondo.
Mentre questa riscrittura della storia da parte dei leader e degli Stati sta andando avanti, un movimento parallelo avviene a livello dei popoli. Aggredito dalle crisi in successione che lo assediano, il cittadino si scopre esposto e spodestato, tagliato fuori, avverte la perdita di centralità nel sistema, ridiventa individuo e cerca ormai soluzioni personali allo spaesamento democratico collettivo, dopo aver smarrito ogni ragione comune, ogni causa pubblica. L’orizzonte immediato di queste solitudini politiche precipitate nella paura e nel rancore è il populismo, che legittima la rabbia e la converte in contropolitica, scagliata contro il sistema, i partiti, i governi: anzi le élite, la scienza, la conoscenza, tutti strumenti dell’esproprio universale di sovranità in corso da anni – secondo questo schema – a danno del popolo. Separandosi dal sistema che non lo rappresenta più, il popolo-populista si distacca progressivamente anche dalla democrazia che non lo protegge, di cui non si sente più “azionista”, e tantomeno responsabile.
A questo punto, basta un passo di lato, e si incrocia la destra più estrema: è già qui, nel luogo impolitico dello scambio dentro-fuori, perché viene dai margini del sistema, la sua derivazione post-fascista l’ha fatta crescere all’esterno della cultura repubblicana e la sua auto-rappresentazione da underdog rassicura gli esclusi. Il suo sovranismo anti-europeo viene scambiato per una risposta alla domanda di protezione, la sua critica alla democrazia sembra dare una cornice politica alla rabbia, così come l’idea di costruire una “verticale del potere” semplifica il disegno istituzionale. Ha radici talmente vecchie da apparire inconsuete, fino a essere scambiate per nuove. La banalizzazione ventennale dell’avventura fascista aveva già sbrecciato per tempo l’interdetto storico che “diabolizzava” gli eredi, e il loro rifiuto di emanciparsi. Oggi quel demone rappresenta in toto l’altro mondo, dunque la vera alternativa radicale, addirittura l’alterità, e parla agli esclusi, ai forgotten men, ma anche ai delusi della democrazia, ai nuovi antisistema, con la tentazione finale di una rottura costituzionale attraverso una riforma che porti ad un cambio non solo di governo, ma di regime: è questa la vera “sostituzione”. Ecco perché la destra di derivazione fascista non vuole correggersi né omologarsi: quell’errore storico è la garanzia di non conformità all’élite repubblicana, e quell’irregolarità permanente è ciò che seduce l’elettore deluso. Come se fosse possibile guidare il governo incarnando un’alternativa di sistema.
Ma questa radicalità estrema della destra, insedia automaticamente la sinistra come alternativa, resistenza, difesa del sistema, sostegno alla repubblica parlamentare nata dalla ribellione alla dittatura, con la riconquista di una democrazia costituzionale dei diritti e delle istituzioni. Improvvisamente, dopo più di un secolo, la sinistra trova un posizionamento identitario che risolve la sua lunga storia e le sue infinite contraddizioni. Perché questo, molto semplicemente, è il vero campo largo da proporre al Paese.