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 2024  giugno 16 Domenica calendario

Intervista a Barbara Ronchi

Magari fra pochi mesi diventerà un’altra, ma per ora Barbara Ronchi sembra una piacevolissima marziana. È romana, fa l’attrice, non abita a Testaccio – né a Monti o ai Parioli, ma lungo via Trionfale in direzione Ottavia non si prende troppo sul serio e parlando le scappa addirittura qualche piccola, normalissima verità («Sono egoista, so cos’è l’invidia perché l’ho provata...»). Nel 2023 si è imposta all’attenzione del cinema italiano grazie al David di Donatello vinto come Miglior interprete protagonista di Settembre, primo film di Giulia Steigerwalt, e quest’anno ha vinto il Nastro d’argento come protagonista di Rapito di Marco Bellocchio. Quarantadue anni da compiere il 22 giugno, un compagno che fa lo stesso lavoro, Alessandro Tedeschi, 44, dal quale ha avuto un figlio di 5, Giovanni, Barbara Ronchi dall’11 luglio sarà nelle sale con un film, Non riattaccare di Manfredi Lucibello, che è una vera e propria sfida professionale: lei è l’unica protagonista dei 92 minuti della storia (Claudio Santamaria si sente al telefono, ma si vede solo negli ultimi minuti), un viaggio in auto notturno e solitario di una donna coraggiosa che cerca di salvare il suo ex, presentato ieri al festival Biografilm di Bologna.
Come se la passa?
«Sono in una fase libera e creativa. Sento di avere un margine di manovra più ampio per decidere cosa fare. Lo so perché compromessi ne ho fatti. Dopo anni in teatro, dove trovavo i personaggi che veramente mi interessava fare, quando mi sono ritrovata a fare cinema e tv mi è capitato di accettare anche parti non proprio entusiasmanti».
Lei è d’accordo con Borghi quando afferma che nel mondo del cinema italiano c’è un “circolino magico” che fa lavorare solo quei pochi che ne fanno parte?
«Certo. E lo dico a malincuore».
E ha provato invidia?
«Sì.
Io penso che un po’ di sana invidia, e di rabbia, possano servire a trovare la forza per farcela. Per anni tutto mi sembrava irraggiungibile. Ai provini arrivavo sempre seconda. Quelli che decidevano, poco coraggiosi e indecisi a tutto, prendevano sempre qualcun altro. Mi dicevano anche che non ero abbastanza bella per fare la protagonista».
Con la fama e la visibilità si diventa anche più belli, vero?
«Un po’ più sicuri, quindi probabilmente ci si illumina».
Ho visto sue bellissime foto da femme fatale.
«Vabbè, lì photoshop fa miracoli. Comunque, mai avuto problemi. Non sono una che blocca il traffico, ma da sempre sto bene con me stessa. Diciamo che sono come Gary Cooper».
Cioè?
«Il direttore della fotografia Daniele Ciprì ha detto che non mi si nota subito, ma dopo – come Gary Cooper – è impossibile dimenticarmi. Tornando alla gavetta, se un talento non trova un varco, implode e si appassisce. Ne ho visti tanti finire così».
Lei ci è andata vicina?
«Sono arrivata a un passo dal dire “ma sì, forse tutto questo non fa per me”. Io, invece, questo lavoro lo volevo enormemente».
Giovanna Mezzogiorno, con la quale nel 2019 ha girato il film “Tornare” di Cristina Comencini, ha detto che il mondo del cinema è un ambiente che può essere anche crudele: che ne pensa?
«Io ho diversi amici in questo mondo. Vanessa Scalera, per esempio (insieme hanno recitato in Imma Tataranni – Sostituto procuratore, ndr), la sento come una di famiglia. Gli attori egoriferiti, noiosissimi, non mi interessano. Probabilmente Giovanna, che in questo mondo è nata, dopo la gravidanza e i chili in più parla di qualcosa che io non conosco».
Lei nel 2022 ha lavorato con Tommaso Paradiso nel suo primo e unico film da regista, “Sulle nuvole": è vero che la lavorazione è stata un incubo?
«Nooo... Lui aveva le sue idee, anche buone, ma era un debutto e quindi il gioco di squadra è stato importante. È stato divertente, non ho un brutto ricordo».
In quel “circolino magico”, dove lavorano sempre gli stessi, ora è entrata anche lei?
«Non così tanto. Alla fine faccio due film l’anno. Comunque il problema non sono gli attori ma chi governa il sistema. Chi non rischia e investe sui nuovi talenti. Se mi chiamassero per tanti progetti bellissimi è chiaro che anche io li girerei tutti. Registi, produttori e distributori dovrebbero essere più generosi e accettare più scommesse. Ci vorrebbero più Bellocchio, Sorrentino e Garrone. Io devo tutto proprio a Bellocchio, che nel 2016 mi scritturò per Fai bei sogni. Mi ha dato una possibilità. Ha acceso un faro su di me. Io ero sempre la stessa. Non è che per quello sono diventata più brava o più bella. Anzi, se penso ai miei inizi, in teatro ero molto più spregiudicata».
Che intende dire?
«Grazie a colleghi maestri come Carlo Cecchi o Valerio Binasco ho imparato a essere un po’ pirata, a fregarmene del compitino fatto bene. Essere bravi e basta non è la cosa giusta da fare. Per questo Anna Marchesini in Accademia mi diceva che all’epoca non avevo il fuoco. Aveva ragione. Facevo di tutto per compiacerla quando in realtà dovevo trovare me stessa».
E quando c’è riuscita?
«Quando ho capito che in tutto quello che facevo c’era solo tecnica. Che noia... Così ho iniziato a sporcare tutto e a metterci del mio. Senza imitare».
Il fatto che lei adesso abbia più successo del suo compagno crea qualche problema alla coppia?
«Stiamo insieme da dodici anni e abbiamo iniziato insieme. Lui sa tutto di me pianti, delusioni e rabbie – e io di lui. Alessandro ha la sua compagnia di teatro, e lavora sempre, anche più di me, solo che adesso luccica meno. Ma è felice per me e non ci sono invidie né gelosie».
Lo sfizio da togliersi? Un altro figlio?
«Mi piacerebbe, ma per Giovanni ci abbiamo messo cinque anni. Non vorrei avere una brutta delusione».
La cosa più importante da insegnare a un figlio qual è?
«Trovare qualcosa per cui bruciare».
Lei l’ha trovata subito?
«Sì. Ho fatto un percorso lungo, mi sono laureata in archeologia, e poi ci sono arrivata. Dovevo prima vincere una serie di vergogne nel dirlo alla mia famiglia, lontanissima dal mondo dello spettacolo».
I suoi genitori l’hanno sostenuta?
«Sì, mi hanno sempre lasciato libera».
Chi la conosce bene che cosa le rimprovera?
«Mia madre mi ha sempre detto che sono una grandissima egoista. Io ho sempre sofferto per queste sue parole, poi a un certo punto ho pensato che forse era una risorsa. Io, per esempio, riesco sempre a trovare del tempo per me, anche di nascosto. Non aspetto che arrivi, me lo prendo».
Figlia unica?
«No. Siamo tre, la più grande sono io. E non ho mai voluto condividere niente con mia sorella, non capivo perché avrei dovuto farlo... (ride, ndr)».
L’errore più grande?
«A 20 anni con un mio compagno d’accademia una sera ingaggiai una folle corsa con il motorino nel traffico di Roma e mi schiantai su un marciapiedi di piazza Barberini. Mi fratturai ginocchio, polso e piatto tibiale. Quando ripasso da quelle parti ci penso sempre. E non mi è passata».
Va ancora come una matta?
«Quando sono sul motorino mi sento imbattibile».
Come chi?
«Come Valentino Rossi, ovvio».