il Giornale, 16 giugno 2024
Ecco John Huston, il regista fuori registro che prese a cazzotti la mecca del cinema
«Un libro aperto» raccoglie le memorie
di un creativo a tutto campo al centro
di una vera dinastia della settima arte
E capace di fare a botte con Errol Flynn
Alla fine scelse un villaggio del Messico, l’isolamento. Scelse il mare che cambiava colore nella baia di Las Caletas. Lui che si era ritagliato il ruolo di Noè nel suo monumentale La Bibbia (1966) si prese il tempo di guardare la propria vita prima che l’onda del tempo la sommergesse, di crearsi un’Arca fatta di parole per salvare ciò che riteneva di dover salvare. E che vita! Una vita da John Huston, un uomo che – ad andar stretti, e a voler parafrasare un suo titolo – volle farsi Hollywood ma prima ancora volle esplorare ogni versante dell’esistenza, spinto da una curiosità folle e quasi fanciullesca. Per usare le sue stesse parole: «La mia vita è composta di episodi casuali, tangenziali, disparati. Cinque mogli, molte relazioni, alcune più importanti dei matrimoni. La caccia. Le scommesse. I purosangue. La pittura, le collezioni, la boxe. Sceneggiatura, regia e interpretazione di oltre sessanta film. Non riesco a vedere nel mio lavoro alcuna continuità tra un film e l’altro... E neanche riesco a trovare un filo conduttore nei miei matrimoni. Nessuna delle mie mogli ha avuto una sia pur vaga somiglianza con una qualunque delle altre, e di certo nessuna di loro somigliava a mia madre. C’è stato di tutto, una gentildonna, una studentessa, un’attrice cinematografica, una ballerina e un coccodrillo».
Infatti in Un libro aperto (appena pubblicato da La nave di Teseo) il lettore troverà proprio di tutto, la vita di Huston (1906-1987), una saga familiare, il meglio della storia di Hollywood e anche un’avventura umana rutilante ed americana sino al midollo.
Dopo averla letta non vi stupirete del fatto che Huston abbia girato un film come L’uomo dai 7 capestri (1972). Suo nonno materno – John Marcell Gore – si aggirava per la frontiera, vincendo a carte interi saloon, ubriacandosi, partecipando alla corsa alla terra e dilettandosi in sparatorie. Ci dice il regista: «Ha lasciato poche cose: una pistola Colt 44 con l’impugnatura d’avorio, un orologio d’oro e un paio di rasoi ben affilati». Ma ha lasciato anche una figlia capace di fare la giornalista itinerante e di sposare un attore canadese spiantato che viveva di brutti spettacoli ed espedienti: tale Walter Huston.
Un padre disastroso? Solo per metà della sua vita, perché poi divenne una vera star teatrale di Broadway. Capace di portare nella Grande Mela il giovane John e metterlo in contatto con il meglio del mondo culturale ed attoriale. «Se mai c’è stato un bruco diventato farfalla, questo è stato il mio vecchio». E alla trasformazione contribuì anche il piccolo John, ormai diventato grande regista. Nel 1947 lo fece recitare in Il tesoro della Sierra Madre, uscito l’anno dopo. Vinse l’Oscar come migliore attore non protagonista nel 1949. Primo Oscar in famiglia. Gli altri due Oscar li prese John: per la sceneggiatura e per la regia. Del resto John creò le condizioni perché anche sua figlia Anjelica vincesse un Oscar come attrice non protagonista in L’onore dei Prizzi (1985). Tre generazioni con la statuetta, un vero record.
L’onore dei Prizzi non lo troverete nell’autobiografia, perché Huston la scrisse nel 1980, e vi mancano i grandi film della vecchiaia. Però c’è la Hollywood più dorata e creativa, più folle, la più violenta, quella del maccartismo e della caccia alle streghe. Ci sono le serate con Humphrey Bogart, Bette Davis, Olivia de Havilland, Charles Coburn... Splendide tra le altre le pagine sulla censura. Oggi il controllo esercitato sulle pellicole negli anni Trenta e Quaranta potrebbe quasi farci ridere. «Dopo che i censori avevano letto la sceneggiatura, ricevevi una lettera che esponeva le loro obiezioni. Parole come dannazione e inferno erano proibite. Non poteva esserci accenno di perversione sessuale, né menzione di una droga qualsiasi. L’adulterio – o meglio il sesso fuori dal matrimonio – doveva essere punito». Si creavano situazioni surreali ma Huston era un vero asso nel trovare soluzioni per lasciare un po’ di crimine nei suoi film.
Del resto scavezzacollo era da sempre e sempre rimase. Un esempio. Durante la guerra partecipò per filmarle a svariate missioni al fronte e al suo rientro era nervosetto. Ad una festa litigò per una ragazza con Errol Flynn. Finì in una lunga scazzottata. Andarono all’ospedale tutti e due. Errol, un vero atleta-attore, totalizzò due costole rotte. Huston se la cavò col naso sfondato e qualche scheggiatura alle ossa. Fecero più o meno pace e poi pensarono di rifarlo, vendendo i biglietti per beneficenza. Ma non ci fu l’occasione. La Hollywood di Babylon risulta un po’ sottodimensionata alla realtà attraversata da Huston. Questo senza nemmeno parlare di Moby Dick, la balena bianca (1956). Il «Pequod» era una nave vera e quando i produttori, arrabbiati per i lunghi tempi di produzione, provarono a salirci sopra furono travolti dalle onde in tempesta. Non si lamentarono più, nemmeno della balena di 25 metri che veniva trasportata da un rimorchiatore...
Erano altri tempi, in cui il cinema non era una imitazione della vita su sfondo verde per computer grafica. Semmai un potenziamento dell’esistere. E Huston era così bigger than life...