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 2024  giugno 16 Domenica calendario

Maturità svuotata


«La Maturità? Cercherò di passarla al meglio, ma per entrare all’università non ho bisogno di quel voto, sono già iscritta». Eleonora Morisi, 19 anni, ha superato il test al quarto anno per entrare a Ingegneria dell’automazione al Politecnico di Milano. Ma deve ancora affrontare l’esame di Stato, «il gran finale», lo chiama il suo compagno di liceo Lorenzo Morace. Anche lui ha conquistato in quarta superiore un posto all’università, studierà Ingegneria biomedica a Bologna perché «voglio mettere il sapere a disposizione delle persone». Maturandi già matricole. Sempre di più, sempre prima. Le selezioni anticipate per entrare in università in quarta superiore e con test in sequela in quinta, da febbraio sino alla fine delle lezioni, sta creando uno sconquasso nelle scuole.
Nelle aule è tutto un «prof, può spostare la verifica che abbiamo le prove per l’università?». E poi assenze e l’affanno di chi si barcamena tra le lezioni in classe e i corsi in preparazione al test di Medicina. L’ultima protesta è stata proprio sulla concomitanza delle date con l’esame di Stato. Cosa sta succedendo nei licei, ma anche nei tecnici dove uno su tre prosegue gli studi?
Se interrogarsi sul significato della Maturità è un evergreen di questi tempi, quello che emerge è qualcosa di più, che destabilizza la formazione nell’ultimo anno delle superiori e svuota di senso una prova che per intere generazioni ha segnato l’iniziazione all’età adulta. «La Maturità è l’unico rito collettivo rimasto, anche se è indebolito – è il punto di vista di Marco Aime, docente di Antropologia culturale all’università di Genova – Oggi la fase dell’apprendimento finisce sempre più tardi, così come incerto e precario è il mondo del lavoro. Da qui l’impossibilità di strutturare riti di passaggio significativi, l’emancipazione dei giovani si è spostata in avanti e non è più ritualizzata». Anche perché, continua l’antropologo, «in una società fluida dove i giovani hanno perso gli adulti, con genitori che spesso vivono da adolescenti o sono eccessivamente indulgenti, è venuto meno il punto di svolta, lo spigolo, la frattura generazionale che un tempo rappresentava questo esame, il poter dire in modo netto: non sono più quello di prima». Insomma, il rituale dell’addio alla scuola in sé resiste, ma è depotenziato, sempre più un passaggio formale.
Matteo Rossi, 19 anni, maturando all’istituto tecnico primo Levi di Bollate e già immatricolato al corso in Marketing e comunicazione aziendale alla Bicocca di Milano, ammette: «Mi sono sentito più maturo quando ho fatto l’esame della patente, lì ho conquistato indipendenza e autonomia. Il mio obiettivo ora è diplomarmi e andare avanti».
«Rituale logoro» la sintesi di Ludovico Arte preside dell’istituto Marco Polo a Firenze. «L’università, con i test anticipati, sta mandando questo messaggio: non ci interessa nulla di ciò che fa la scuola. E noi invece continuiamo nelle commissioni ad accapigliarci per attribuire un punto in più o in meno quando quel voto non ha nessun impatto, non incide sull’accesso all’università e al lav oro. Siamo dentro a un rituale paradossale». In discussione non è il rito, semmai il suo valore e quello di una formazione che al rush finale è una corsa ad ostacoli tra Montale, le derivate e lo studio da quiz. Ma nessuno ne parla, lamentano i prof. Che alzano la voce: «Dalle singole giornate diorientamento nei due anni terminali, siamo passati a una vera e propria invasione di campo intollerabile che frammenta e ostacola un apprendimento disinteressato e un ordinario svolgimento dell’anno scolastico» scrivono in una lettera apertaintitolata “Il tempo della scuola” i docenti del Galvani, blasonato liceo di Bologna. Tempo scippato alla scuola. «I ragazzi devono farsi carico di decidere del loro futuro già dal quinto anno, quando non prima, e questo non permette loro di vivere il presente e una crescita culturale non finalizzata, li distrae dal piacere di imparare cose che non servono nel momento: è grave», osserva Mara Corengia, insegnante di Filosofia e Storia al liceo Torricelli-Ballardini di Faenza. «Così ne va della loro formazione» sbotta Francesca Frascaroli, docente di Inglese. Quella formazione libera, «che loro si perdono perché hanno già la testa da un’altra parte mesi prima della Maturità».
Gli insegnanti mettono in guardia dai rischi di una degenerazione, la «diminutio degli studi scolastici, che alimenta a sua volta un malcelato complesso d’inferiorità, in favore – in realtà – esclusivamente dell’opportunismo organizzativo delle università». Voilà, il dibattito è aperto. Rimane per i ragazzi la tensione per la prova, «l’idea – spiega Eugenio Russo maturando al tecnico per il turismo Colombo di Roma – che lasci la scuola che è stata la tua casa, che ora ti devi gestire da solo, che ti affacci al nuovo» che per lui sono gli studi inBusiness administration, forse all’estero. Martina Langella di San Giorgio a Cremano ha le idee chiare: Scienze dell’amministrazione alla Federico II di Napoli. Ed è già “matura”. «Studio e lavoro come cameriera, per me l’esame è solo un addio alla scuola, quello che mi mancherà è il rapporto con i prof». I più sorridono: «Mica diventiamo grandi con l’esame, però viviamo l’emozione di affrontarlo insieme, di chiudere un percorso». Alessandro Cavina, che si sta preparando anche per il test di Medicina, avverte: «Abbiamo bisogno di momenti a cui aggrapparci, l’ultimo giorno di scuola mi sono reso conto del grande salto che stavamo facendo».