Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  giugno 15 Sabato calendario

Europa debole: Il timore dei mercati

Qualche giorno fa una grande banca internazionale ha organizzato una delle sue solite visite in Italia per i propri clienti. Per la prima volta, si è resa conto che non riusciva a riempire i posti disponibili: non c’era molto interesse fra gli investitori per le vicende del Paese; le acque erano troppo placide e in pochi si stavano chiedendo se fosse il caso di vendere Italia sul mercato. Come passa in fretta il tempo in Europa. L’avesse fatto ora il suo tour, quella banca avrebbe riempito subito gli slot. Ci avesse messo dentro anche un passaggio da Parigi, avrebbe dovuto aprire a un gruppo supplementare. Lo scarto di rendimento fra titoli decennali italiani e tedeschi – lo spread – è molto sotto i massimi anche di anni recenti, ma da giorni è instabile e ieri ha di nuovo oscillato con violenza verso l’alto. Improvvisamente nervosi, gli investitori si rifugiano nelle obbligazioni di Berlino. Intanto i titoli delle principali banche italiane crollano e così quelli dei grandi istituti transalpini, da Société Générale a Bnp Paribas. Anche i corsi delle obbligazioni del Tesoro di Parigi sono diventati elettrici, con gli spread sui bund tedeschi bruscamente saliti. Persino i corsi di Deutsche Bank o Commerzbank in Germania ne hanno risentito in misura pesante.
S emplicemente, dopo anni di tregua, gli investitori hanno aperto gli occhi su una realtà che si profilava da tempo. L’Europa non è solo l’area dal livello di crescita più basso del mondo; non solo è priva di una strategia per risollevarla e recuperare il ritardo tecnologico. Presenta anche quello che loro chiamano un «rischio politico». E l’epicentro stavolta è la Francia. In termini immediati l’innesco naturalmente è il trionfo del Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella e soprattutto la decisione di Emmanuel Macron, il presidente, di convocare elezioni anticipate tra tre settimane. Le Pen ha smesso di parlare di un’uscita della Francia dall’euro, ma il suo programma prevede regali per tutti: drastico taglio dell’Iva su qualunque spesa per l’energia (costo, 12 miliardi l’anno), esenzioni dai contributi per le imprese che aumentano gli occupati (costo, 10 miliardi), esenzione dall’imposta sui redditi per chi ha meno di trent’anni; la prospettiva di pensioni a sessant’anni; prestito di Stato da centomila euro a tasso zero per la prima casa e nessun obbligo di rimborso per le famiglie con tre figli o più. Manca giusto un Superbonus al 110%. Quanto al modo di finanziare le spese – ammesso che qualcuno ci creda – «lotta alle frodi» e «tagli dei sussidi agli immigrati». Il tutto malgrado gli impegni a ridurre il deficit più alto dell’Unione europea, in compagnia della Slovacchia e ovviamente dell’Italia.
Il nostro Paese è già passato di là, ai tempi dei piani faraonici del governo giallo-verde. Anche la Gran Bretagna ci è passata, con i sogni della Brexit e poi quando il budget di Liz Truss fece saltare i titoli del Tesoro di Londra e portò alla defenestrazione della premier in poche settimane. Il ciclo del populismo arriva ovunque in Occidente con sintomi simili ed ora è vicino al suo apice in Francia. Non si fermerà con qualche discorso ragionevole: più queste forze vengono tenute fuori dalle mura del potere, più assumono agli occhi degli elettori il profilo di un oggetto magico. Comunque vada il voto indetto da Macron, il momento di mettere alla prova i populisti a Parigi comunque si avvicina.
Non ci sarebbe però tanto nervosismo sui mercati, se intorno alla Francia ci fosse un’Europa forte in un Occidente forte. Invece i leader li abbiamo sotto gli occhi in questi giorni, al G7 e nei negoziati per i posti di vertice a Bruxelles. Le elezioni europee hanno restituito un governo tedesco paralizzato, al 30% appena dei consensi, con la gloriosa socialdemocrazia del cancelliere Olaf Scholz superata dai post-nazisti di Alternative für Deutschland. In Olanda l’uomo forte è Geert Wilders, un ultranazionalista nemico di qualunque progetto comune europeo di investimento nell’industria, nelle tecnologie o nella difesa, senza i quali Mario Draghi avverte già che l’Europa perderà altro terreno sugli Stati Uniti o la Cina.
Quanto al resto del G7, ha detto tutto il Wall Street Journal ieri: «Quando l’unico a non essere un’anatra zoppa nel G7 è il primo ministro italiano, significa che la democrazia occidentale ha raggiunto un punto basso». La stessa Giorgia Meloni, per quanto politicamente solida a Roma e a Bruxelles, sta ricevendo dei messaggi dai mercati in questi giorni: il fatto che i titoli italiani tremino più di quelli francesi, quando il terremoto è dall’altra parte delle Alpi, significa che l’Italia non è più forte quando la Francia e la Germania sono deboli. L’Italia era e resta fragile: ha bisogno di riforme, risanamento dei conti e soprattutto di un’Europa forte, integrata e ricca di progetti intorno a sé. E tale l’Europa non sarà mai, se Parigi o Berlino restano ostaggio delle loro forze centrifughe.