La Stampa, 15 giugno 2024
Cavaliere, caimano, dottore, tiktoker Le vite di B. raccontate da un berluscomane
Basta l’iniziale del cognome, B., per evocarlo. Come Mussolini o Napoleone. Però poi servono suppergiù 600 pagine per raccontarlo, indagarlo, sviscerare vizi e slanci di generosità, cadute e imprevedibili risurrezioni, gli scandali planetari e le difese surreali. Un quintale di ritagli di giornale, suddivisi in 34 faldoni e ciascuno in 127 cartelline, innumerevoli libri, e poi apparizioni tv e, in ultimo, quando già era il tempo dell’inverno e l’ardimentosa battaglia per l’immortalità («vivrà fino a 120 anni!») appariva desolatamente persa, persino di social, i grotteschi video su Tik Tok, anzi Tik tok tak («il tak finale sono io»): quanto ha scorso, analizzato, vivisezionato Filippo Ceccarelli, firma de la Repubblica e prima ancora de La Stampa, su Silvio Berlusconi, trent’anni della sua vita professionale, una miriade di appunti, episodi, dettagli, concentrati nel volume appena pubblicato da Feltrinelli, B. Una vita troppo.
Perché «Silvio Berlusconi esagerava sempre; esagerava per natura e per calcolo, per intuito e per convinzione», e poi troppi soldi, troppe donne, troppo potere, «una vita eccedente, iperbolica, sproporzionata» giustifica Ceccarelli il formato extra large del suo certosino lavoro. E racconta con autoironia che, se è vero che la lunga esperienza pubblica del Cavaliere (o del Dottore, o del Caimano, e via a elencare, anche in quello eccessivo, troppi soprannomi, molti calzanti) ha dato vita a due categorie – i berlusconiani e gli antiberlusconiani –, ha ugualmente generato «una terza sottocategoria nella quale serenamente mi riconosco, quella dei berluscomani ad alto indice di curiosità e ossessività». E così, da “berluscomane”, per tre decenni ha accumulato, sottolineato, messo da parte, con una particolare passione per i personaggi, le storie, la corte pittoresca che nel tempo si è raccolta attorno ad Arcore e Palazzo Grazioli, le spigolature di colore, che poi spesso nell’avventura dell’ex premier hanno significato più di tanti fatti, entrando nell’immaginario collettivo di quella che, a buon diritto, è stata definita l’età berlusconiana. Ne esce un affresco in presa diretta, da testimone oculare di tanti passaggi, severo e incuriosito al tempo stesso – «è molto triste che nessuno in famiglia l’abbia mai votato», gli confida il figlio Giacomo – interessato e infine pietoso quando la parabola si fa discendente e, nonostante il cerone e gli sforzi e la giovane quasi moglie, la salute viene a mancare, fino al racconto malinconico di quell’ultimo particolare, il gelato e la manciata di ciliegie chiesti poco prima di morire.
Col sole in tasca e il sorriso a trentadue denti (tra i millemila omaggi, anche i più strampalati, la vittoria nel 1997 del sondaggio sul sorriso più bello d’Italia, 86 voti contro i 55 di Mara Venier), Berlusconi «appena sceso in campo ha fatto sbiadire un’intera classe dirigente e riempito di sé spazi deserti, vacanti, privi di riferimenti», analizza il Ceccarelli giornalista politico di razza, sbigottito dalle convention roboanti, il clima festoso, i jingle da pubblicità: l’ingresso del marketing in politica. «Così Berlusconi ha aperto la strada ai partiti personali e ha spalancato le porte anche all’antipolitica e alle degenerazioni del populismo». Imbarca qualche intellettuale, salvo restare deluso quando capisce che hanno la pretesa di pensare con la propria testa – «la prossima volta me li prendo analfabeti» -, animale da campagna elettorale capace di impensabili rimonte si stanca presto di governare, «le istituzioni gli erano come minimo d’impiccio», sottolinea l’autore. Sono gli anni degli scontri con la magistratura, che andranno avanti fino alla fine, fino ai processi sulle cene eleganti, al caso Ruby, in una contabilità in continuo aggiornamento: 110 processi, 3656 udienze e 130 milioni di spese legali, annota scrupoloso Ceccarelli. Poi ci saranno i conflitti con gli alleati, da Casini e Follini alla scena madre con Fini («mai litigata mi apparve più gravida di conseguenze e soprattutto più plastica, espressiva e magnifica») fino agli attriti con «la signora Meloni», quando lui è già vecchio e malato e lei ormai la nuova padrona del centrodestra. E le donne, i wild parties di cui si occupava la stampa internazionale e financo cancellerie e ambasciate, il sogno da vendere, «abusatissimo dispositivo della retorica berlusconiana», il miracolo da rivendicare, poco importa se farlocco («un milione di posti di lavoro, le Grandi opere, meno tasse per tutti») fino alla battaglia strenua contro la vecchiaia e la morte, impossibile da vincere. Nel 2018 ha già 82 anni e in Molise, incontrando persone dopo un comizio, si vanta di non aver avuto tempo di incontrare la vecchiaia. Un anziano pastore: «Ariva, ariva…». Berlusconi giulivo: «Posso toccarmi le palle?». E il pastore, implacabile: «Toccate ‘n bo’ quel che ti pare, ma ariva».
È vero, c’è un filo di ossessione da berluscomane nella cura, nel puntiglio della raccolta e dell’archiviazione, anche nello spasso che trapela da alcune pagine, da alcuni racconti di Ceccarelli. Quasi una seduta di psicoanalisi che indaga trent’anni di vita professionale sua, ma in fondo di vita anche nostra. «Se penso a quanto tempo della mia vita ho occupato ad annotarmi questi frammenti di umanità, mi chiedo chi me l’ha fatto fare, ma sento anche che è venuto il momento di restituirli a chi li ha dispensati alle cronache e un po’ anche agli déi protettori dei maniaci». E a tutti noi, lettori avidi e divertiti. —