la Repubblica, 15 giugno 2024
Intervista a Alice
A cosa pensano gli artisti quando scrivono? Che cosa sognano le fidanzate quando baciano? A cosa penserà Alice mentre canta? Qual è il suo mistero? Di Alice non si sa niente o quasi, mentre le sue canzoni ci accompagnano da tanto tempo con una forza inscalfibile. È così schiva che pochi conoscono davvero la sua reale importanza nella musica italiana, e non solo, attribuendo ad altri e comunque straordinari autori quali Battiato i suoi successi. Invece Alice ha composto e scritto da sola o con altri, per esempio Francesco Messina, pezzi straordinari comeA cosa pensano, una canzone bellissima. Una canzone che si interroga sul mistero. Perché Alice stessa è un mistero. Che qui, per quanto possibile, cerchiamo di raccontare perché, come i veri misteri, non si può spiegare.
Come è nata la sua passione per la musica?
«Sono cresciuta in una famiglia dove la musica regnava sovrana: mio padre era un musicista e aveva una voce meravigliosa da tenore leggero, mia sorella era diplomata in pianoforte e anche mia madre lo amava e il nonno materno suonava la tromba in una banda cittadina.
Quindi, nel mio Dna, effettivamente la musica c’è».
Quando ha cominciato a cantare?
«Posso dire che ho cominciato a cantare prima che a parlare. In effetti pensandoci era una cosa un po’ particolare perché già a quindici mesi conoscevo le canzoni che mi cantava mia mamma quand’ero nellaculla. C’era dunque una sorta di predisposizione innata».
Infatti già a undici anni ha fatto il primo concorso.
«Prima ancora. Credo di averlo fatto a sette anni: il maestro che faceva le selezioni disse ai miei genitori che avevo un grande talento e che mi dovevano mandare a scuola di musica e di canto. Così mi sono iscritta al Liceo musicale di Forlì a otto anni. Per me cantare era come respirare».
Nel 1971 arriva la prima vittoria: al Festival di Castrocaro con una canzone dei Pooh.
«Sì, ho vinto inaspettatamente con la canzone che andava per la maggiore in quell’estate, che era Ho tanta voglia di lei,con il testo che io ho adeguato al femminile».
E in quel momento ha capito che avrebbe davvero potuto fare questo nella vita.
«No. Ho capito che la mia passione poteva diventare la mia professione qualche anno più tardi, dopo aver vinto la Gondola d’argento a Venezia nel 1972 con La festa mia di Califano e Giancarlo Lucariello, il produttore dei Pooh, che mi chiamò per fare un album con lui. E siccome non ero soddisfatta, decisi di intraprendere questo nuovo percorso. Lui mi propose di cambiare nome e quindi sono diventata Alice Visconti. E conquesto nome d’arte ho registrato l’album La mia grande età».
Perché cambiò nome?
«Lucariello pensava che fosse necessario dare una nuova immagine per sancire uno stacco rispetto a quello che avevo fatto».
E come mai proprio Alice?
«Probabilmente l’impressione che gli avevo dato quando mi aveva visto in tv era quella di un’Alice nel paese delle meraviglie (ride)».
Era giovane ma determinata visto che ha deciso di cambiare e fare un album tutto suo.
«Ho imparato piano piano, identificando prima quello che non volevo e poi quello che volevo, per esclusione».
Poi è diventata Alice: perché?
«Visconti mi sembrava eccessivo».
Infine ha deciso che voleva essere una cantautrice e così ha cambiato ancora tutto.
«Sì, grazie ad Angelo Carrara che mi fece conoscere Franco Battiato».
Nel 1981 vince Sanremo con “Per Elisa”, un brano fuori dagli schemi con un testo scritto in parte da lei su un tema importante: quello della dipendenza.
«L’input iniziale fu di Franco: lui era partito dal titolo e aveva scritto la frase iniziale della prima strofa e una frase dell’inciso e tanto mi era bastato per cogliere lo spirito della canzone, che parla di dipendenza psicologica. Alcuni invece hanno pensato alla droga, che comunque è sempre una forma dipendenza».
Quel disco aveva una copertina bellissima e particolare: uno stile tra il classico e il postmoderno, insieme.
«L’ha fatta Francesco Messina che, a partire da quella, ha realizzato tutte le copertine dei miei dischi e con il quale abbiamo poi iniziato a lavorare assieme a tempo pieno, anche musicalmente».
Il 13 luglio inizia il nuovo tour, “Master songs”: che cosa ci sarà?
«Dopo quattro anni dedicati alle canzoni di Franco ho sentito l’esigenza di riagganciarmi anche a pezzi che in questo preciso momento storico sento importanti, con un’attenzione particolare alla canzone d’autore ma anche alla poesia di artisti come Pasolini, Pierluigi Cappello e Maria di Gleria».
E poi?
«Brani miei e di Juri Camisasca, Mino Di Martino, Lucio Dalla, Fabrizio De André, Francesco De Gregori, Ivano Fossati, Francesco Guccini e, naturalmente, Battiato».
Cosa farà di Guccini e De André?
«Auschwitz eUn blasfemo».
Due scelte importanti e difficili da proporre, in questo momento.
«Tutto ha un senso. O almeno io cerco di darglielo. La mia idea poi è sempre quella di essere strumento, condividere consapevolezza attraverso ciò che so fare: la musica e il canto. L’idea di separarsi dal mondo è illusoria: oggi il pianeta è pieno di sofferenza».