il Giornale, 14 giugno 2024
Le otto signore della montagna che riportano l’Italia sul K2
Settant’anni fa furono Lino, Achille, Walter, Amir Mahdi e Ardito. Oggi tocca a Federica Mingolla, Silvia Loreggian, Anna Torretta, Cristina Piolini, Samina Baig, Amina Bano, Nadeema Sahar, Samana Rahim. Quattro italiane e quattro pachistane. Sono loro le signore del K2 in partenza domenica, con una spedizione firmata Cai, club alpino italiano, per un nuovo sogno con cui celebrare la montagna che fece grandi gli italiani dell’alpinismo, ma anche enormi le polemiche che ne seguirono. Approccio militare, agli ordini del geologo esploratore Ardito Desio, ordini di scuderia gridati nel vento e a quote estreme dove si smette forse di essere uomini, spesso umani, per provare ad essere eroi.
Sicuramente ci riuscì Walter Bonatti, anche senza toccare la cima, portando a valle la sua storia di gelo, sacrificio insieme ai racconti degli altri, i due summiter Achille Compagnoni e Lino Lacedelli che, forse per far ancor più grande qualcosa di già immenso, elaborarono quello storytelling di bombole ed ossigeno finito, fra ambizione e j’accuse. Chi non ricorda l’assalto al ChogoRi inviolato e bellissimo, il secondo Ottomila della terra, il primo per difficoltà, ben più arcigno di sua maestà l’Everest che, infatti, nel 1954 era già stato scalato da più di un anno. Da allora servirono 50 anni per fare ordine anche burocraticamente in ciò che era evidente a tutti: no Bonatti? No vetta. Per qualcuno la rilettura della storia arrivò fuori tempo massimo nel 2004. Ma non per loro, non per queste signore dell’alta quota che vogliono dimostrare che in cima si può portare soprattutto la modernità di una spedizione che vuole essere «inclusiva, utile, scientifica ed emozionante», spiega Agostino Da Polenza, capo spedizione, anima navigata di molte imprese sui ghiacci e presidente del comitato scientifico di ricerca EvK2CNR.
La spedizione, seguita anche dalla Rai che realizzerà un documentario, ripercorrerà quello sperone degli Abruzzi, made in Italy da sempre, con l’obiettivo di «lasciare una traccia nello sport italiano, ma anche un’impronta a livello sociale e umano», ha spiegato Antonio Montani, presidente del Cai. Islamabad, poi Skardu ed Askole; quindi il Baltoro e il campo base a fine giugno, rotazioni e acclimatamento per provare l’«assalto» alla cima negli stessi giorni, il 31 luglio. La vie, però, sarà en rose. «Tutto è cambiato, non mi sento come un capo spedizione, ma lavoreremo in gruppo», spiega la guida valdostana Anna Torretta che, a 51 anni, è la più «saggia» delle alpiniste del team ed anche una delle due mamme della spedizione, insieme alla dottoressa Lorenza Pratali che si occuperà di una serie di progetti legati alla fisiologia, alla glaciologia e allo sviluppo delle professioni legate alla montagna per le donne pakistane. «La tecnologia ci aiuterà a raccontare alle nostre figlie che cosa stiamo facendo», prosegue Torretta che nella prima fase dell’acclimatamento che si è svolto fra Monte Bianco e Gran Paradiso ha spesso portato, almeno fino al rifugio, le piccole Petra e Lidie. Loro le hanno regalato un pupazzo. Lei se lo porterà in «ufficio», lassù.
In Italia per allenarsi insieme sono arrivate anche le quattro pachistane: alcune sono guide esperte in patria, una ha già scalato il k2. La delegazione ha ricevuto il Tricolore dal presidente Sergio Mattarella e ha incontrato il premier Giorgia Meloni. In cima, insieme in rosa: in Italia solo il 2% delle guida alpine è donna, non diversamente vanno i numeri in Europa. Settant’anni e non sentirli. Settant’anni per cambiare e tornare ancora in cima.