Avvenire, 14 giugno 2024
Sparwasser, il giocatore che ha dribblato il Muro
Francoforte, 10 gennaio 1988. Alla stazione un uomo aspetta l’arrivo del treno da Hannover che gli porta l’amata moglie. Si guarda intorno con circospezione e quando finalmente i due finalmente si abbracciano, corrono immediatamente nell’appartamento che fa loro da nascondiglio. Dopotutto sono una coppia in fuga dalla Ddr. E lui è un calciatore, che ha approfittato per eclissarsi di una partita di vecchie glorie. Infatti, non è un giocatore qualunque. È Jürgen Sparwasser, mezzala entrata nella storia di cuoio (e non solo) come marcatore del gol che 14 anni prima ha permesso alla squadra tedesca dell’Est di battere i cugini dell’Ovest ai mondiali di casa. Sparwasser alla fine ha deciso di lasciare la metà a Est del “cielo diviso”, alla quale molto ha dato senza riceverne altrettanto in cambio. Lo strappo avviene un anno prima della Wende, la svolta. Il veloce centrocampista offensivo anticipa così di un anno la caduta del Muro, proprio come quella sera di cinquant’anni fa, il 22 giugno 1974 ad Amburgo, ha anticipato l’intervento di Franz Beckenbauer e l’uscita del portiere Sepp Maier, insaccando il decisivo 1-0 e diventando un idolo del popolo socialista. Nel 1988, però, è un eroe caduto in disgrazia per voler essere solo un uomo di sport e si è improvvisamente trasformato in un disertore. Sparwasser, l’eroe che tradì è il ritratto che ne fa il giornalista di “Tuttosport” Giovanni Tosco. Un ritratto che coglie non solo il profilo del personaggio “Spari” (il soprannome di un antidivo per antonomasia) ma offre sullo sfondo un panorama di cosa fosse il calcio nella Guerra fredda. Storie di una Germania divisa nel cuore di un’Europa segnata dalla Cortina di ferro, che 35 anni dopo la riunificazione ospita i campionati europei, al via oggi.
Il libro narra non solo, dunque, le gesta di un giocatore che non avrebbe sfigurato nel calcio professionistico occidentale, al quale solo dopo l’89 la Germania dell’Est diede campioni come Matthias Sammer, pur avendo prodotto giocatori notevoli, su tutti Joachim Streich, il Gerd Müller dell’Est. È anche il racconto delle imprese calcistiche di una squadra. E di una bella storia d’amore tra il calciatore e la sua Christa che gli promette eterno amore quando lui a 17 anni lascia la natia Halberstadt per giocare nel Magdeburgo, club che stupirà l’Europa. Nato nel 1948, quando la Germania porta ancora le ferite della guerra, da bambino ha come idolo Uwe Seeler e gli brillano gli occhi quando riceve in regalo per il settimo compleanno un vero pallone. Dalle partire in strada passa a farsi le ossa nelle giovanili del Lokomotive Halberstadt, allenate dallo zio. All’Aufbau Magdeburg si mette presto in luce e viene convocato nella nazionale under 19. Da lì parte una folgorante carriera, conclusasi per un infortunio a 31 anni, nel 1979 dopo che “Spari” ha vestito 381 volte la maglia biancoblu del club, segnato 173 reti, vinto tre campionati della Oberliga e quattro coppe della Ddr, ma soprattutto la Coppa delle Coppe del 19731974, battendo in finale il Milan. Con la nazionale maggiore ha giocato 48 volte, segnando 14 gol.
Anche se è per uno solo che la talentuosa mezzala viene ricordata, quello rifilato ai “capitalisti” di Bonn ai mondiali del 1974, vero anno d’oro per lui e compagni di club e nazionale. Tondo rende con accuratezza il clima di un mondiale che arriva due anni dopo il sanguinoso raid palestinese alle Olimpiadi Monaco (dove il calcio comunista si piazza terzo) e in piena crisi politica tra Brd e Ddr, dopo la scoperta della spia Günter Guillaume infiltrata nella cancelleria e le conseguenti dimissioni di Willy Brandt. La partita è ininfluente, entrambe le compagini sono già qualificate, ma viene vinta a sorpresa dai “proletari” e diventa una data simbolica, una di quelle per le quali a lungo ci si ricorda dove si era e con chi. Il primo posto, però, non porta bene ai tedeschi orientali, che devono vedersela con Brasile, Argentina – finite altrettanto inaspettatamente seconde nei loro gironi – e Olanda, futura sfortunata finalista. Il sogno della Ddr si infrange contro quelle tre corazzate. Ma per gli eroi, al netto dei toni trionfalistici del regime, che da tempo utilizza lo sport in tutte le discipline come mezzo di propaganda, non sono tutte rose e fiori. Anzi. Curioso ciò che capita all’attaccante Hans Jürgen Kreische. Prima di ripartire, viene avvicinato da un distinto signore dallo spiccato accento amburghese, tal Hans Apel, che gli chiede un pronostico sulla vittoria finale. «Germania Ovest, ovvio», vaticina il giocatore a denti stretti. «Mai» replica l’altro e scommette cinque bottiglie di whisky. Quando Kaiser Franz e i suoi sconfiggono gli orange di Crujiff, Kreische se le vede recapitare in un pacco proveniente dal ministero delle Finanze di Bonn: Apel è il ministro. La vincita causa al malcapitato più di un guaio. Hai voglia a spiegare che lui non legge i giornali e non conosce i politici occidentali: viene accusato di intendersela con il nemico di classe. E sarà escluso dalle Olimpiadi di Montreal del 1976. A “Spari” arrivano, invece, lettere di ringraziamento dalla gente e la notorietà. Ma presto anche lui finisce nel mirino. Anche lui viene escluso dai Giochi perché, durante una tournée preparatoria, due sconosciute signore lo avvicinano dichiarandosi sue parenti emigrate in Canada, E lo invitano a casa. Lui non va. Ma il regime non tollera contatti, anche minimi e casuali, con i capitalisti e lo punisce. Nel 1977 poi, al termine di una partita di coppa persa, per sportività scambia la maglia con lo juventino Tardelli, contravvenendo alle disposizioni date. E viene multato. Insomma, non è affatto facile fare il calciatore nella Ddr. Il portierone della nazionale Jürgen Croy riesce a opporsi non solo ai tiri degli avversari, ma anche alle lusinghe del regime che lo vorrebbe protagonista in squadre di spicco, le varie Dynamo di Berlino e Dresda o Lokomotiv di Lipsia, cinghie di trasmissione con l’esercito o la Stasi del famigerato Erich Mielke, che ha un informatore anche nella rosa della nazionale. L’estremo difensore resta sempre nel piccolo Zwickau, squadra della sua città natale e della Trabant, nei cui stabilimenti ha lavorato. Non mancano nel libro gli accenni ai vari oggetti di culto che hanno dato vita dopo l’89 al fenomeno dell’Ostalgie, la nostalgia sentimentale per la vita sotto il regime. Nella quale, in realtà, il sospetto è pane quotidiano. In tanti, infatti, negli anni Cinquanta hanno approfittato del calcio per scappare dalla Ddr ante-muro. Nei Settanta, però, si corre anche il pericolo di lasciarci la vita. “Spari” rimane nella Ddr quasi fino alla fine, sia pure sempre più a disagio. La goccia che fa traboccare il vaso è l’emarginazione che subisce quando, appese le scarpette al chiodo, si gode finalmente la famiglia e la docenza universitaria in educazione sportiva. La sua colpa? Si rifiuta di allenare il Magdeburgo come gli chiede un funzionario comunista, lo stesso che anni prima ha allontanato per motivi ideologici l’amato e vincente trainer Heinz Krügel, decretando di fatto il declino del club e provocando la rabbia dei giocatori.
Nelle pagine conclusive si respira la cronaca degli ultimi, convulsi, giorni della Ddr, quando Jürgen e Christa si ricongiungono con la figlia, il genero e il nipotino da poco nato. Tutto è bene ciò che finisce bene. Dopo tante traversie, riavvolgendo il nastro della vita di un campione che ha brillato per un solo gol, resta impressa la frase agrodolce da lui sussurrata all’orecchio della moglie dopo l’ultima partita giocata: «Mi sono divertito, malgrado tutto».