La Stampa, 14 giugno 2024
Per una bandiera
Scene da un tricolore. Il tricolore volante di Larissa Iapichino, spiegato come le ali di una farfalla sulla pista degli Europei di atletica all’Olimpico. Il tricolore stracciato che la ministra delle Riforme Maria Elisabetta Casellati agita sui banchi del governo in Senato come una preda di guerra. Il tricolore istituzionale consegnato da Sergio Mattarella agli azzurri in partenza per le Olimpiadi di Tokyo, in fila nei giardini del Quirinale per ricevere gli auguri presidenziali. Il tricolore calpestato nella rissa di Montecitorio che abbatte il deputato del Movimento Cinque Stelle Leonardo Donno. Il tricolore dell’orgoglio italiano tra i vessilli dei potenti del mondo a Borgo Egnazia. Il tricolore della nostra miseria nei palazzi delle istituzioni dove la destra patriottica e la sinistra europeista e internazionalista si scambiano i ruoli. La bandiera la impugnano per protesta quelli che l’hanno sempre guardata con distacco, mentre quegli altri, quelli che se ne sono ammantati, che l’hanno trasformata in tratto identitario e tabù collettivo, la buttano per terra, urlano per sovrastare chi la esibisce, alzano le mani.I due giorni di caotiche zuffe alla Camera e al Senato, dove procedono le votazioni sull’Autonomia differenziata (Camera) e la riforma costituzionale del premierato (Senato) restituiscono un’immagine incattivita del confronto in atto. È furibonda la Lega, reduce da una sconfitta elettorale che sembra aver allentato ogni freno inibitorio. Ma è inacidita e iper-reattiva anche la destra, che con i numeri e i risultati che ha avuto potrebbe tollerare con più aplomb qualche prevedibile protesta dell’opposizione. E invece no, saltano i nervi. Saltano perché la questione del tricolore tocca un off-limit semantico: il mondo conservatore può accettare tutto ma non il rubabandiera sul tema dell’identità nazionale. Il tricolore è il loro brand e lo pensavano coperto da un copyright senza limiti. Vederlo nelle mani degli «altri», usato per contrastare le due riforme-guida della legislatura, fa perdere la testa.La destra è tricolore per definizione, dalla fiamma tricolore delle origini fino al bollino tricolore del recente patto anti-inflazione o al disegno di legge per multare chi espone il tricolore «in modo sciatto o a brandelli». È una struttura archetipa, un dato seminale, finora mai messo a rischio dagli eventi perché la sinistra verso il tricolore ha sempre provato una istintiva diffidenza. Negli ’80 guardò con sospetto persino le piazze imbandierate per la vittoria ai Mondiali di calcio («nazionalismo di ritorno, xenofobia insorgente»). Vide nel massiccio spiegamento tricolore ai comizi di Bettino Craxi la conferma del suo slittamento a destra. E quando Silvio Berlusconi piazzò un tricolore nel simbolo del suo movimento appena nato, ci trovò la riprova che la bandiera nazionale e tutto il relativo corollario (esibizioni tricolori, frecce tricolori, successi sportivi tricolori) fosse farina del diavolo da cui tenersi alla larga.«Quando ero ragazzo – raccontò una volta Piero Sansonetti, allora direttore di Liberazione – c’erano solo due tipi di cortei: quelli con le bandiere rosse e quelli con le bandiere tricolori. I primi erano comunisti, i secondi fascisti». Capirete l’impatto dell’inversione di senso vista in questi giorni alla Camera e al Senato: i «comunisti» che sventolano tricolore in faccia ai «fascisti» per segnalare il portato anti-patriottico di due riforme in dirittura di arrivo. Ma il colmo del paradosso è l’effetto del rubabandiera sui leghisti che in tempi non troppo lontani il tricolore lo schifavano del tutto – «Chi espone il tricolore è un somaro» (Umberto Bossi), «Il tricolore non è la mia bandiera» (Matteo Salvini) – e adesso, dopo la svolta sovranista, impazziscono alla vista del medesimo impugnato sui banchi dell’opposizione. Lesa maestà, leso tricolore, non vi permettete o vi meniamo.In questo impazzimento generale trovare un senso alle zuffe tricolori è pressoché impossibile. Forse è meglio rifugiarsi nell’altro tricolore, quello che sventola lontano dai palazzi della politica. Nei giardini dove gli atleti azzurri sorridono sperando di portare la bandiera sul podio olimpico più alto. Nell’esultanza delle 24 medaglie degli Europei di atletica, Marcell Jacobs, Gianmarco Tamberi, Antonella Palmisano, Larissa Iapichino e tutti gli altri, italiani doc anche se variamente colorati e con alberi genealogici che conducono altrove. Nella compostezza del presidente Sergio Mattarella che tiene insieme le identità incasinate di questa Italia dove il tricolore non si capisce più cos’è. Recita l’articolo 12 della Costituzione: «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a bande verticali e di eguali dimensioni». Tutto il resto – il significato unificante, il rispetto, la capacità di riconoscere valori super partes – dovremmo mettercelo noi, ma ancora non ci siamo riusciti. —