La Stampa, 14 giugno 2024
Il mestiere delle armi
Papa Francesco palerà oggi al G7 di Borgo Egnazia, in Puglia, dell’angoscia da cui è pervaso: l’applicazione bellica dell’intelligenza artificiale. Davanti ai sette capi di sette potenze democratiche del mondo, dirà del rischio enorme per le popolazioni civili rappresentato da questo ulteriore, stupefacente, potenzialmente rovinoso salto in avanti della tecnologia, se impiegata in guerra. Chi porta le responsabilità di governo, dirà oggi Bergoglio, deve porsi il problema e imporsi dei limiti per il futuro dell’umanità. Credo sia dovere pastorale del pontefice nutrire fiducia nell’uomo, ma a me è venuto in mente un film di oltre due decenni fa di Ermanno Olmi – regista magnifico, solido cattolico padano. Si intitola Il mestiere delle armi, e racconta la storia di Giovanni delle Bande Nere, nome d’arme di Ludovico di Giovanni de’ Medici, condottiero del Cinquecento, soldato di ventura, espressione che porta con sé l’affidarsi al valore e al destino. In uno scontro coi lanzichenecchi – calati dalla Germania nel 1526 per saccheggiare Roma e punire Clemente VII, predecessore di Francesco – Giovanni delle Bande Nere viene ferito dal nuovo prodigio della tecnica: un cannone. Gli amputano una gamba ma non basta. Dopo qualche giorno di agonia, muore di sepsi. Anche allora ci si interrogò sul progresso devastante delle armi, sull’argine lungo cui fermarsi, e il film si conclude con questa frase della voce narrante: «I più illustri capitani e comandanti di tutti gli eserciti fecero auspicazione affinché mai più venisse usata contro l’uomo la potente arma da fuoco». Pensate ai 498 anni trascorsi da quel «mai più».