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 2024  giugno 14 Venerdì calendario

La trama di Bolloré per unire le destre

Il lunedì dopo il voto, prima ancora di sentire Marine Le Pen e Jordan Bardella, il presidente dei Repubblicani – un tempo si sarebbe detto neogollisti – Eric Ciotti si è portato al numero 51 di boulevard de Montmorency, nel sedicesimo arrondissement di Parigi, quello dei ricchi. È entrato in un palazzo a tre piani, su cui sventola la Gwenn Ha Du, la bandiera a strisce bianche e nere della Bretagna. E ha concordato l’annuncio della svolta storica – l’alleanza tra i neogollisti e i lepenisti, gli eredi del generale De Gaulle e gli eredi di quelli che lo volevano ammazzare – con Vincent Bolloré.

La rivelazione viene da Le Monde, e non c’è motivo di pensare che sia falsa. Il miliardario Bolloré da tempo è il grande sponsor dell’unione delle destre, sul modello italiano: una destra non più estrema ma maggioritaria, il Rassemblement National di Marine Le Pen e Bardella, che avrebbero il ruolo di Giorgia Meloni (anche se in Europa sono alleati con Salvini); una destra dura e identitaria, interpretata da Eric Zemmour, che farebbe le veci di Salvini (anche se in Europa è alleato della Meloni); e una destra moderata, liberale e tiepidamente europeista, appunto i Repubblicani, ormai scesi sotto il 10%, come Forza Italia prima del sussulto delle Europee.
Che Bolloré guardi a destra, non è un mistero. Quando nel 2007 Nicolas Sarkozy fu eletto presidente, sparì dalla circolazione per qualche giorno. Si diceva che volesse «abitare la funzione», prepararsi all’ascesa all’Eliseo. Qualche ammiratore adorante sussurrò che si fosse ritirato in convento. Poi Paris Match pubblicò in prima pagina una foto di Sarkozy spaparanzato in crociera su uno yacht di proprietà di Bolloré nelle acque di Malta, dov’era arrivato su un Falcon 900 di proprietà di Bolloré. Scandalo. Nel frattempo Sarkozy ha perso l’Eliseo e rischia la galera; e Bolloré si è comprato pure Paris Match, oltre a Le Journal de Dimanche, l’unico giornale nazionale che esce la domenica, alla radio Europe1 e alla rete tv CNews.
Soprattutto, Bolloré è bretone. Come il clan Le Pen. E se per i parigini la Bretagna è una landa remota dove finisce il mondo, tira sempre vento e fanno delle buone crêpes, per i bretoni la loro terra dal mare aspro, dalle coste scabre, dalle profonde radici cattoliche è la Camelot che può restituire la Francia a se stessa.
Così, dopo l’incontro con Bolloré, Ciotti (che qui chiamano Siottì) ha annunciato l’alleanza tra i Repubblicani e Marine Le Pen, in vista del primo turno delle elezioni legislative del 30 giugno. Ma i notabili dei Repubblicani l’hanno sconfessato. Sarkozy, che non va più tanto d’accordo con Bolloré mentre è prodigo di consigli per Macron, è perplesso. Quasi tutti i deputati sono contrari. Il migliore tra i presidenti di Regione, Xavier Bertrand, che ha battuto Marine Le Pen in Hauts-de-France, il Nord impoverito dalla crisi, è indignato. Ciotti ha fatto sbarrare la sede del partito, i notabili si sono riuniti in una sala lì vicino, l’hanno destituito, hanno scelto una nuova leader, Annie Genevard. Un traditore di Ciotti ha passato loro una copia della chiave, e si sono ripresi la sede. Ma ieri mattina Ciotti è andato tranquillamente nel suo ufficio, prima di pranzare con Bardella: «Mi hanno eletto i militanti con le primarie; sono i militanti e non i baroni del partito a dovermi cacciare». I Repubblicani insomma hanno due capi, due linee, e sempre meno voti.
Nel frattempo uno psicodramma minore andava in scena nella famiglia Le Pen. Marion Maréchal, nipote sia di Marine – è sua zia – sia del fondatore Jean-Marie – è suo nonno –, aveva lasciato il partito di famiglia per mettersi con il partito di Zemmour, che si chiama Riconquista, come la crociata dei Re cattolici per cacciare i mori dalla Spagna.
Marion ha annunciato il patto tra Riconquista e il Rassemblement National. Ma Bardella l’ha smentita: tu sì; Zemmour no. Marion è tornata a casa, per lo strazio di Zemmour che ha mandato agli amici una mail dolente: «Marion mi ha venduto, mi ha tradito, mi ha calunniato, mi ha ferito».
A sinistra hanno resuscitato il Fronte Popolare. Un’alleanza che vinse le elezioni nel 1936, fece una riforma storica – le ferie pagate, che consentirono a generazioni di operai di vedere il mare per la prima volta in vita loro —, e perse il governo quasi subito. Di fronte alla bufera della Seconda guerra mondiale, il Fronte si dissolse: i comunisti, fedeli a Stalin, non si stracciarono le vesti quando i nazisti entrarono a Parigi, salvo diventare valorosi resistenti quando la Germania attaccò l’Unione Sovietica.
Adesso, tanto per confermare che la tragedia si ripete in farsa, comunisti, socialisti e irriducibili della France Insoumise, insomma Jean-Luc Mélenchon, battezzano la loro alleanza «Front Populaire». E tagliano fuori Raphaël Glucksmann, che alle Europee ha appena portato la lista socialista al 14%. Ma Glucksmann non va bene per due motivi. Sostiene l’Ucraina. Ed è ebreo, nipote di profughi sfuggiti ai campi di sterminio, figlio di André Josef Glucksmann, meraviglioso scrittore e filosofo, che si chiama così in onore di Etkar Josef André, ebreo comunista tedesco che Hitler aveva fatto decapitare. Insomma Raphael ha una storia familiare iscritta nelle ferite del Novecento, e non può allearsi con gli amici di Putin. Anche per questo Macron ha detto che Léon Blum, il capo del Fronte Popolare quello vero, «si rivolta nella tomba». Léon Blum era socialista ed era ebreo: fu arrestato dal regime di Vichy e deportato a Buchenwald, sopravvisse e ritornò primo ministro dopo la Liberazione.
Il calcolo di Macron
Pensa che i francesi si pentiranno di Bardella al governo e nel 2027 vincerà un macroniano
Il presidente non si capacita. Ha capito che la maggioranza dei francesi lo odia; ma non capisce perché. Sono anni che ogni manifestazione, di qualsiasi colore politico, si conclude al grido «Macron démission», Macron vattene. Eppure Macron ha vinto due elezioni presidenziali, con largo margine. A Parigi, dove vive, la prima volta prese il 90%, la seconda l’85%, e ha vinto pure le elezioni europee. Macron non si rassegna al fatto che il resto della Francia gli preferisca persone che decisamente non lo valgono.
In effetti, Jordan Bardella è un bluff pazzesco. Il giovane primo ministro Gabriel Attal, pupillo di Macron, l’ha strapazzato in un duello televisivo, più o meno come Macron ha fatto due volte con Marine Le Pen. Da una parte un tecnocrate preparatissimo, due lauree e svariati master, che parlava con competenza di pensioni e di finanza, rintronando il rivale e il telespettatore di numeri; a un certo punto Bardella non ci ha capito più niente, veniva da gettare sul ring un asciugamano bianco come fecero dall’angolo di Benvenuti massacrato da Monzon. Ma il francese medio non ha due lauree, non ha fatto master, la proposta di Bardella di ripristinare la pensione a sessant’anni gli piace; e se Attal e Macron dicono che non si può fare, gli sembra una buona ragione per farlo.
Lo stesso discorso vale per Macron. In questi giorni si è dato un gran da fare. Ha nominato i veterani della Normandia cavalieri della Legion d’Onore (un reduce di 102 anni è morto viaggiando verso Omaha Beach: una morte stupenda, sul campo). Ha parlato in pubblico in un inglese perfetto e in un tedesco fluente. Ma non ha capito che più mostra il suo talento e la sua superiorità, più lo detestano.
I francesi, come direbbe Paolo Conte, sono incazzatissimi.
Una parte è depressa, e non va più a votare. Una parte, sempre più piccola, sta bene e vota Macron. Ma c’è una parte impoverita e arrabbiata che cerca una risposta alle sue pulsioni anti-sistema o a sinistra, con Mélenchon, o più facilmente a destra.
Macron non è impazzito, sciogliendo l’Assemblea nazionale. Un conto è votare con il proporzionale; un altro conto è votare a doppio turno. Il calcolo del presidente è che al ballottaggio le forze del buon senso possano unirsi contro i populisti. Mal che vada, se i francesi proprio vogliono Bardella, lo avranno; e se ne pentiranno amaramente, per poi fra tre anni portare all’Eliseo uno dei suoi ex primi ministri, Edouard Philippe o lo stesso Attal.
Si dice che i Le Pen siano gli eredi della Francia filonazista di Vichy, ma non è vero. A sedici anni, nella sua Bretagna, Jean-Marie tentò di unirsi alla Resistenza, ma fu rimandato a casa dalla mamma. I Le Pen sono gli eredi dell’Algeria francese. Della destra che non accettò mai la fine dell’impero coloniale, basato sulla superiorità bianca. Quelli che appunto tentarono più volte di ammazzare De Gaulle, che li disprezzava. «Mon Général, si chini!» gli gridarono sotto il fuoco degli attentatori. «Sparano malissimo» rispose De Gaulle, restando ritto nel suo metro e 96.
Uno dei più bei libri di André Josef Glucksmann si intitola «De Gaulle, où-es-tu?», De Gaulle, dove sei? Una domanda a cui i francesi nella scheda elettorale cercheranno invano una risposta.