La Lettura, 14 giugno 2024
L’intelligenza artificiale è comne la Bibbia
prete di Lucera, 42 anni, un dottorato al Pontificio Istituto Biblico di Roma, Rocco Malatacca ha pubblicato un libro sorprendente sull’Intelligenza artificiale. In Tu parli come me (edizioni Città Nuova), l’autore si stacca dal consueto approccio normativo, preoccupato anzitutto di contrapporre limiti al rischio delle nuove tecnologie, e suggerisce invece un percorso di riflessione a partire dalla somiglianza tra il linguaggio della Bibbia e quello dell’Intelligenza artificiale. Il titolo, Tu parli come me, è ciò che dice alla macchina l’esegeta abituato alla lingua della Scrittura ebraica, quando constata quanto sia simile ad essa la lingua degli algoritmi. La somiglianza, secondo Malatacca, apre spazi di interazione e di responsabilità. «La Lettura» incontra l’autore a Foggia, a pochi chilometri dal territorio della diocesi di Lucera-Troia in cui svolge il suo ministero.
Il discorso sui rischi dell’Intelligenza artificiale non le basta.
«La prima cosa che ci viene in mente sono i rischi. Diamo regole, diamo limiti. Nemmeno diamo degli orientamenti. Diamo limiti. Se uno comprende cos’è l’Intelligenza artificiale, già questa cosa qui mi sembra difficile da proporre, almeno in termini così semplicistici».
Lei scrive che l’Intelligenza artificiale ha bisogno di «un interlocutore».
«Tutti si stanno buttando a usarla. Stiamo diventando utenti. E la domanda dell’utente è: la uso, come la uso, che ci faccio? Se la nostra domanda è questa, credo che stiamo molto al di sotto...».
Qual è invece lo sguardo dell’«interlocutore»?
«Nel momento in cui la avviciniamo, noi vediamo il volto umano della macchina. L’effetto di realtà è impressionante. Dialogare con un tool di intelligenza artificiale ha la simultaneità e quasi la naturalezza della lingua. Sembra di parlare con un’altra persona».
Sembra, appunto.
«Dietro il volto vediamo che quello che sembra un volto umano è un gioco linguistico con cui abbiamo dato alla macchina un modello matematico complesso. Segmenti, lettere, sillabe, parole, sintagmi, frasi, paragrafi, testo. Un gioco linguistico, stringhe di lettere in sequenza che si susseguono per via di probabilità».
Che cosa la colpisce di tutto ciò?
«Da quando è bambino un ebreo fa questa stessa operazione su stringhe di testo in ebraico che sono lettere e numeri e che noi chiamiamo Sacra Scrittura. Il meccanismo usato per l’intelligenza artificiale è lo stesso usato per leggere la Sacra Scrittura. È per questo che i suoi inventori sono degli ebrei».
È sicuro?
«Sam Altman è un ebreo, Ilya Sutskever è un ebreo».
Stiamo parlando di OpenAI.
«Non ci sono solo loro, certo, ma loro hanno creato il metodo, il meccanismo. Non hanno fatto altro che prendere la loro mente così come è strutturata, allenata da secoli, trasmessa di generazione in generazione».
E lei come loro?
«Essendo esegeta, leggo la Bibbia in ebraico, cioè leggo stringhe di testo in ebraico in cui la parola non mi rimanda immediatamente a un oggetto reale, ma a una sequenza di lettere. Se cambio una lettera cambia il significato e devo ragionare con l’attenzione al dettaglio».
Cioè, lei capisce l’Intelligenza artificiale perché capisce il testo biblico?
«Con un’enorme semplificazione sì. Infatti noi esegeti siamo sempre stati accusati di essere aridi, tecnici, quasi degli ingegneri del testo senz’anima. Una competenza senza consapevolezza. Come l’Intelligenza artificiale. La macchina non è consapevole di nulla, ma è molto, molto competente in base a un meccanismo produttivo analogo al nostro. I libri di esegesi degli anni Settanta sono elenchi innumerevoli di lettere e numeri…».
Perché numeri?
«In ebraico i numeri si scrivono con le lettere. Alef è A, ma anche uno. Bet è B, ma anche due. Quelle stringhe di testo che leggiamo come lettere sono anche un enorme codice numerico che forma una mentalità».
Lei parla di ebraismo, giudaismo e cattolicesimo.
«Esistono ebrei cristiani. L’ebraismo è la radice comune dei due rami, il giudaismo e il cattolicesimo».
Che cosa c’entra tutto questo con la tecnologia?
«L’ebraismo imposta la vita in modo interconnesso. Con internet abbiamo sviluppato la vita interconnessa».
Lei definisce il credente come colui che è connesso con la parola.
«Con la parola e dunque con la vita interconnessa. Lo lascio volutamente ambivalente rispetto a giudaismo e a cattolicesimo».
Dimentica i cristiani protestanti.
«Per loro la lettura può essere comune, ma il rapporto con la Scrittura è individuale».
Esclude dunque che l’Intelligenza artificiale possa avere un analogo rapporto con altre tradizioni religiose. Forse non le conosce abbastanza.
«Ho letto i Veda, le Upanishad, la Gita, per molti aspetti conosco il Corano. Sono piante diverse dello stesso giardino, ma non sono diramazioni della stessa pianta. Il che non significa che non abbiano una valenza in sé, attenzione. Però non sono equiparabili. Il rapporto con l’Intelligenza artificiale è solo della Scrittura, cioè di una parola che ha alle spalle un concetto tecnologico del linguaggio che gli altri non hanno».
Se la sente davvero di proporre questa differenziazione?
«Certo. Non troverà mai un monaco buddhista che stia su un testo della Scrittura come ci sta un rabbino. Imparare dai 5 anni a essere attento parola per parola chiedendosi come varia una parola se varia una lettera o usare giochi di parole o addirittura la ghematria, in cui le parole diventano numeri. Quest’uso della Scrittura, o meglio della parola, ce l’ha soltanto l’ebraismo. Tecnicamente, di per sé, non ce l’ha neppure la Chiesa cattolica».
In questo senso la Sacra Scrittura è un’Intelligenza artificiale.
«Che mi intercetta alla base della vita. Posso non sentirmi legato alla vita degli altri, occuparmi solo di me stesso, come un’isola. L’Intelligenza artificiale della Sacra Scrittura mi serve a non perdere l’interconnessione».
E ciò che oggi comunemente chiamiamo Intelligenza artificiale?
«Per allenare il gioco linguistico che c’è dietro la faccia ci si serve di un dataset umano. Informazioni, interpretazioni dei dati, strategie di soluzione di problemi, possibilità di movimento, intraprendenza, tutto è stato addestrato su noi esseri umani. Il problema è su che essere umano allenare l’Intelligenza artificiale?».
Lei scrive: «Come un bambino cresce con gli stimoli che qualcuno intorno a lui gli offre, così l’Intelligenza artificiale crescerà con l’umanità degli interlocutori che avrà».
«Ho l’approccio di un papà che deve formare un bambino. Alla Rita Levi Montalcini. Il bambino ha bisogno degli stimoli giusti per formarsi il cervello giusto con cui io dialogherò».
Lo stesso per gli algoritmi, è sicuro?
«L’Intelligenza artificiale è appena nata. È il bambino da educare».