Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  giugno 14 Venerdì calendario

Intervista a Virginia Raffaele

«Sono pazza di Bologna, sento Lucio Dalla ovunque». L’appuntamento con Virginia Raffaele è domani sera alle 22 in Piazza Maggiore.
Una, nessuna, centomila.
Si è mai persa nei personaggi?
«Non c’è confusione, ma sdoppiamento: finito il trucco da Barbara Alberti non riuscivo a parlare da Virginia, sarei stata male».
Secondo Belen era lei a volersi mettere in mostra, interpretandola.
«Facevo un grande riscaldamento, altro che mettermi in posa. Vengo dalla danza, il corpo è uno strumento, mi alleno per non farmi male, lo sa la mia lombare».
Ha ballato con Bolle e Fracci.
«Roberto la sua parte ironica l’ha scoperta nel nostro primo balletto comico, io ero Carla Fracci».
Le sue Carla Fracci, Sandra Milo,
Michela Murgia, riviste oggi che non ci sono più, sono buffe e tenere.
«Sandra Milo era una bambina felliniana, Michela fu geniale “quando l’imitatrice è più famosa dell’imitata”. Le ha dato una ironica cattiveria:I promessi sposi? Già dal titolo si capisce il finale” (la voce è perfetta, ndr). Carla mi raccontò che Chaplin le aveva detto “sarai famosa davvero quando ti imiteranno”. Da tempo non si parlava di lei, è stato bello averle ridato nel periodo finale della vita un altro po’ di luce».
Quando tocca la politica – Boschi, Pascale, Minetti – ci sono sempre reazioni. Beatrice Venezi e il ministro Sangiuliano sono stati sportivi?
«Eh come no, super sportivi... da grandissimi atleti della risata (tono massimamente ironico ndr)».
È un momento complicato?
«Sì: conformismo, censura, politicamente corretto. E intanto torniamo indietro sui diritti civili».
La poetessa Paula Gilberto è amata dalla comunità LGBTQ+
«Un paio di giorni fa, in un museo, uno dei vigilanti mi ha detto “sono omosessuale e ti ringrazio: nel monologo “Guardami papà” mi sono riconosciuto. Mi scrivono in tanti, sono stata orgogliosa di metterla in prima serata sulla Rai».
È candidata ai Nastri d’argento per “Un mondo a parte”.
«Ringrazio un ruolo che somiglia a quelli della vecchia commedia all’italiana, ironico con malinconia».
A Villetta Barrea, vicino ai luoghi del film, è stata chiusa la scuola.
«Al netto della situazione politica e dell’istruzione oggi, l’emozione forte è stata recitare a Sperone, il borgodove questa preside è nata, che non c’è più perché, dopo la scuola, ha chiuso il paese. Fa male pensare che finisca una comunità, le sue storie».
Il cinema non ferma le chiusure, aiuta a non farle passare in silenzio.
«Non mi aspettavo una tale reazione al film, né di scoprire quanti sono i maestri che si battono ancora».
Lei ha perso la sua comunità.
«Milani mi chiamò per fare il film dopo avermi visto a teatro aSamusà:“sei tu”. Leggendo il copione mi sono commossa. Veder sparire le scuole, dalla biblioteca alla sala cinema, è stato come quando al Luneur, fondato dalla mia famiglia, sono iniziati a sparire i “calci in culo” e poi una giostra dopo l’altra».
Lei sta bene in coppia con
Albanese, Zalone, De Luigi, Fiorello.
«Come il nero, bene con tutto».
E con Carlo Conti. Se la chiama a Sanremo, non può dire di no.
«Perché ora mi dovete far venire l’ansia? Sto male fisicamente.
Sanremo è una macchina enorme, ne ho fatti cinque di seguito. Vedremo, al netto dell’affetto spropositato per quel toscanaccio».
I giovani. Lei si ritrova in Giorgia Maura, l’aspirante artista di “Amici”.
«La sento vicina e attuale perché è l’eterna esclusa, non solo dai talent, ma da famiglia e amici. Un concentrato di disagi, tenerezza, dolore, comicità. Io di porte in faccia ne ho avute mille. Mi sento sempre fuori luogo, messa storta. Ai ragazzini che mi seguono, specie a teatro, dico che le loro cose “sbagliate” sono la loro unicità».