la Repubblica, 14 giugno 2024
Giorgio Parisi s’è messo a scrivere favole per i nipoti
«Le favole, forse anche le mie, aiutano a capire quanto sia importante la solidarietà: essere egoisti porta sempre a disastri, o comunque alla sconfitta. Solo coloro che superano il proprio egoismo riescono poi fare qualcosa di buono». È la morale della favola, anzi delle favole, secondo Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica nel 2021, che oggi, a 75 anni, si è cimentato con un libriccino di fiabe per bambini: La mosca verdolina e altre storie per chi non vuol dormire
(Rizzoli, 84 pagine, 18 euro). Tra conferenze pubbliche, l’adesione ad appelli della società civile, la normale attività di ricerca, la passione per la danza e la buona cucina (il professore va matto per una tipica torta romana ripiena di ricotta e visciole) Parisi, violando forse le leggi dello spazio-tempo, riesce anche a fare il nonno (ha tre nipoti: uno di sette anni, due di due anni e mezzo) e a scrivere libri per i più piccoli.
Professor Parisi, a lei da bambino leggevamo le favole della buona notte?
«No, non mi raccontavano favole, o almeno non lo ricordo. Naturalmente sapevo chi era Biancaneve, ma probabilmente più dai cartoni che dai racconti dei miei genitori.
Quando però sono nati i nostri figli, con mia moglie abbiamo letto libri di pedagogia e ci colpì l’importanza che alcuni autori attribuivano alle favole raccontate ai bambini. D’altro canto, ci pareva anche una buona soluzione per farli addormentare: così, visto che il compito di metterli a letto era mio, cominciai a raccontare loro delle favole».
Quali sceglieva?
«Quelle italiane delle raccolte di Italo Calvino, che non hanno niente da invidiare alle favole dei fratelli Grimm. Ma, pur essendo centinaia, non bastavano mai. E così decisi di inventarne qualcuna io, con una struttura simile a quelle tradizionali e rubando spudoratamente temi e personaggi. Le misi per iscritto alla fine degli anni Ottanta, per raccontarle sempre uguali. Capitava che aggiungessi dettagli per arricchire il racconto serale, ma poi li apportavo anche nella versione scritta. Poi ne ho scritte altre per il nostro nipotino più grande. Alle fine mi è stato chiesto di pubblicarle e l’ho fatto volentieri».
Nel volume ci sono anche, tra una favola e l’altra, dei capitoletti in cui tre nipotini pongono al nonno quesiti scientifici. Quali sono le domande che le rivolgono più spesso i bambini quando li incontra?
«Mi domandano perché ho vinto il Nobel, ma è già complicato spiegarlo agli adulti… Cerco piuttosto di soddisfare le curiositàdei bambini, perché sono convinto che per far piacere loro la scienza occorra partire dalle loro curiosità, piuttosto che spiegare. Poi sono anche molto interessati ad aspetti personali: mi chiedono perché ho studiato tanto, cosa facevo da piccolo».
E com’era da bambino Giorgio Parisi?
«Fino ai dieci anni a Roma avevo pochissimi amici, perché la mia famiglia non era solita frequentare altre persone. Mentre invece ad Anzio, dove trascorrevo i tre mesi estivi, stavo con altri bambini in spiaggia dalla mattina alla sera.
D’inverno ero invece solitario e mi piaceva leggere, di tutto: libri di astronomia popolare, fantascienza, tutto Verne e Salgari».
Adesso che libri ha sul comodino?
«Sto leggendo L’americano tranquillo di Graham Greene. Sotto c’èConfiteor di Piergiorgio Paterlini, ma lo inizierò solo dopo aver finito Greene”.
Come è cambiata la sua vita dopo il Nobel?
«Mi riconosco e mi fermano spesso per strada: chi lo fa è molto affettuoso e mi fa piacere. Inoltre, se prima dicevo qualcosa non lo notava nessuno. Ora le mie affermazioni hanno una risonanza molto più ampia, il che è anche una responsabilità che mi sprona, per le cause importanti, a non starmene zitto. Mi piacerebbe, però, non essere il solo: sono l’unico Nobel italiano che vive in Italia e quindi ricevo tantissime richieste. Sarei felice di poter condividere questo impegno con i tanti altri scienziati italiani di altissimo livello».
Riesce ancora a fare lo scienziato?
«Sì, mi dedico alla ricerca, ma meno di prima. Però ci sono alcunedomande che ho lasciato senza risposte e, quando posso, mi dedico a cercarle».
E la sua passione per i balli sudamericani?
«In quel caso, più che il Nobel il vero problema è stato il Covid: sto ricominciando solo adesso. È faticoso, ma fortunatamente la memoria del corpo funziona meglio di quella della mente: in questi anni posso aver dimenticato qualche nome, ma i passi di danza riemergono facilmente alle prime note».
Tornando alle favole, anche nelle sue, come nei grandi classici, ci sono boschi, insetti, lupi, tartarughe, mari e montagne: che rapporto ha con la natura?
«Mi piace ed è spesso meta dei nostri viaggi di famiglia: domani (oggi per chi legge, ndr )saremo per esempio nella tenuta di Castel Porziano per un tour dedicato alla vegetazione locale, visto che mia moglie è una botanica dilettante.
Ho un rapporto più difficile con gli animali, a cominciare dai cani, di cui ho un po’ paura. Sarà forse anche per esorcizzare tale timore che ne ho messi tanti nelle mie favole».
A proposito di paure, ai suoni nipoti racconta solo favole o anche ciò che lei teme per il futuro?
«Alla loro età è meglio lasciarli tranquilli. Nelle cose più tristi avranno modo di imbattersi quando saranno grandi».
Ma a noi li può confessare i suoi timori…
«Il primo è quello della guerra: per decenni abbiamo evitato l’escalation nucleare e ora ci stiamo giocando pericolosamente. Poi c’è il cambiamento climatico, che è un problema molto difficile da risolvere senza coinvolgere la Cina, l’Africa, l’India e se le nazioni ricche non trasferiranno risorse economiche verso i Paesi più poveri.
Ma i pericoli maggiori vengono dalla politica: se è incapace di seguire i bisogni dell’umanità, è chiaro che ci guida nella direzione sbagliata».
Professor Parisi, qual è la morale della favola, della sua personale favola?
«Ci sono troppi conflitti d’interesse con la propria vita per poterne trarre una morale».