la Repubblica, 14 giugno 2024
Gli Europei raccontano la nostra Storia
L’albo d’oro degli Europei di calcio si apre nel 1960 con un podio occupato da Paesi che non esistono più: Urss, Jugoslavia, Cecoslovacchia. Basterebbe questo dato a conferire al pallone la dignità di materia di studio alla facoltà di storia. Delle prime sei edizioni, le nazioni scomparse ne vinsero quattro: vanno aggiunti infatti i cecoslovacchi del ’76 e la Germania Ovest del ’72 e dell’80. Ovvero la caduta del Muro ebbe effetti disgreganti, ma anche aggreganti: quello che parte stasera a Monaco di Baviera è il primo Europeo organizzato dalla Germania riunificata (ma nel 2006 ospitò il Mondiale, e nessuno come noi se lo ricorda bene). A meno di una settimana da elezioni che l’hanno scossa nelle fondamenta, l’Europa celebra le sue diversità – richiamate davvero in ogni partita – all’interno di un quadro comune, l’eterna aspirazione della politica. Al calcio riesce più facile perché gli euro li produce: 2,4 miliardi i ricavi totali previsti per il torneo (1,4 dai diritti tv, la voce più rilevante), 331 milioni di premi alle partecipanti, 935 al programma di sviluppo Uefa che finanzia tutte le 55 federazioni.
Stasera la Germania apre il torneo affrontando la Scozia, che alla Brexit non si è mai rassegnata e un tempo – ve la ricordate la devolution? – era il modello della Lega di Bossi. Domani l’Ungheria affronta la Svizzera, storica isola di neutralità: tre anni fa l’aggressività dei tifosi di Budapest impressionò tutti, e le stagioni seguenti non hanno rassicurato sul clima di casa Orbán. Più tardi la Spagna gioca con la Croazia e, in serata, l’Italia debutta con l’Albania, prossimo parcheggio per migranti secondo il discutibile protocollo Meloni-Rama. Spagna e Italia hanno vinto tre degli ultimi cinque Europei, e gli altri campioni sono stati Portogallo e Grecia. I vecchi “pigs” a calcio se la cavano mica male: l’acronimo (che en passant ci dava dei maiali) nato nel 2007 sui media anglosassoni e poi dilagato nel Nord dei Paesi frugali derideva le politiche di bilancio allegre e il pesante debito pubblico di queste quattro nazioni affacciate sul Mediterraneo (in seguito il discorso venne allargato all’Irlanda, da cui “piigs”). Qualche ragione ce l’avevano, se è vero che noi cicale ci divertiamo così tanto col pallone: resta il fatto che le grandi vittorie valgono in genere più di un punto di pil. Il che aiuta a ridurre il debito, anche se quando si va in piazza a festeggiare non è il primo pensiero.
Sono settimane che vi riempiamo di pronostici, oggi che si comincia fatevi bastare qualche segnalazione. L’Ucraina non solo gioca con una motivazione che gli altri (per fortuna) non hanno, ma è pure una squadra forte: non stupitevi se andrà lontano. Cristiano Ronaldo sta viaggiando verso i 40 anni, ma nessuno ha ancora trovato il coraggio di dirglielo, e mentre gli altri emigrati in Arabia Saudita sono spariti dai radar lui non mancherà di farsi notare ancora. Gli attaccanti giovani più bravi, Guler e Yildiz, quest’anno ce li ha la Turchia. Non è ancora possibile conoscere le facce della prossima Commissione europea, ma quando il compito di dirigere spetta ad altri commissari – tecnici – l’Europa non vede l’ora di affidarsi a noi: Luciano Spalletti guiderà gli azzurri, Domenico Tedesco il Belgio, Vincenzo Montella la Turchia, Francesco Calzona la Slovacchia e Marco Rossi l’Ungheria. Cinque ct italiani, nessun’altra nazione ne conta più di due.
Almeno qui comandiamo.