Corriere della Sera, 13 giugno 2024
La rete sottile dei banchieri
A volte si ha bisogno della voce. Non solo delle parole. Degli argomenti; delle storie. Ma proprio della voce, del suono, del colore, delle pause, delle sottolineature nella lettura di quello che è stato il nostro Paese. Per quanto la memoria sia moneta poco diffusa ultimamente, il nome di Enrico Cuccia, fondatore di Mediobanca, risveglia più di un ricordo. Altro è poterne ascoltare la voce in un raro inedito frammento custodito negli archivi dell’istituto. «L’ironia e il motto di spirito – che, racconta Ferruccio de Bortoli nel podcast Comunità sottili – erano un tratto costitutivo di Cuccia», si materializzano nella voce del banchiere. Che, a chi gli chiedeva se in Mediobanca avesse gradito la presenza di grandi gruppi esteri, rispondeva tra le risate dei presenti: «Purtroppo le ragazze bisogna chiederle in matrimonio, una ragazza che si offre non fa buona impressione. Non siamo richiesti in matrimonio da nessuno».
E allora si scopre che ci sono aspetti di chi, in modo più o meno rilevante, ha fatto la storia di questo Paese, che troppo spesso sfuggono. Che vengono superati e dimenticati, che restano solo nei documenti d’archivio. O nei libri di storia. Ci sono invece reti, tessuti, che legano personalità del nostro passato che vale la pena ricostruire, di cui vale la pena riprendere gli intrecci, scorrere date, incontri, documenti, momenti. Per poter capire, come scriveva Walter Tobagi. A una condizione: esser disposti a nuove scoperte e al superamento di qualche pregiudizio costruito nel tempo.
Ascoltando il podcast delle Comunità sottili, un’iniziativa di Mediobanca in collaborazione con la Fondazione Corriere della Sera e prodotta da Chora Media, succedono molte cose. Le «comunità sottili» fatte di persone che condividono visioni, obiettivi e interessi culturali, fanno la differenza. Anche se quella comunità è fatta di banchieri. Persone cioè, a onor del vero, mai molto apprezzate in nessun luogo del mondo probabilmente. Ma si scopre un’Italia diversa, fatta di «molta speranza di futuro» come nelle intenzioni di Raffaele Mattioli per la fondazione di Mediobanca. Di uomini capaci di attraversare una crisi tremenda come quella del 1929 con l’idea di poter ancora ricostruire il Paese, da Alberto Beneduce a Donato Menichella. O le caustiche parole di Gabriele d’Annunzio sul banchiere umanista di Vasto, Mattioli appunto: «Odio i ragionatori che hanno il cervello incallito come il ginocchio del dromedario». Un banchiere capace invece di capire che a Mussolini andava impedito di isolare l’economia italiana. Come pure di non tirarsi indietro quando nell’immediato dopoguerra un signore di nome Palmiro Togliatti gli chiede consiglio sulle cose possibili da fare per far rinascere il Paese. Stilando per di più 33 punti precisi. Ma con un filo conduttore che era quello di creare una «classe dirigente» per il Paese.
La voce narrante di de Bortoli, autore del podcast, cuce le vite e la storia di questi banchieri accomunati da un raro senso di responsabilità nei confronti del Paese e delle loro comunità. Intreccia le vicende grazie agli interventi di studiosi come Giovanni Farese, Marco Magnani, Pierluigi Ciocca, Giorgio Chiarva. Le testimonianze come quelle di Giorgio La Malfa ci riportano negli snodi di eventi forse dimenticati ma che hanno fatto il Paese.
Non sappiamo se il podcast sia solo un omaggio a personalità che altrimenti rischiamo di dimenticare. O se invece attraverso quelle voci decisori politici ed economici possano rintracciare il senso e, ancora, la responsabilità di avere appunto la possibilità di decidere. Di sicuro andrebbe ascoltato nelle università e nelle scuole di partito (che quasi non esistono più) per ragionare e cogliere gli spunti su un modello di classe dirigente ancora possibile. Certo in tempi diversi.
Oggi appare perlomeno singolare la discrezione di Cuccia la cui voce nemmeno la costanza e perseveranza di Striscia La Notizia riuscì a svelare. O l’ironia espressa con i fatti. Racconta de Bortoli, che lo incontrò in più occasioni, che una volta gli chiese di scrivere in occasione dei 90 anni di Indro Montanelli, vista la loro amicizia. A suggerire questa possibilità fu Cesare Romiti. Squilla il telefonino. «Sono Cuccia» sente dire l’allora direttore del «Corriere della Sera» che prova a far scrivere il banchiere. In questo tentativo gli sfugge una frase: «Bastano anche tre o quattro righe». Il giorno dopo ne arrivarono tre e mezzo! Lui, il banchiere che aveva iniziato a scrivere sul «Messaggero» con la firma in anagramma di Nuccio Riccrea. E così il racconto si snoda con la missione di Cuccia in Etiopia, lo scontro con Graziani, l’incontro tragico con Michele Sindona, le minacce subite, la tragedia di Giorgio Ambrosoli.
La storia del banchiere figlio di un avvocato greco-albanese che studiò al liceo Tasso di Roma e che fu costretto a fare per tutta la vita «le nozze con i fichi secchi» per sostenere il sempre malconcio e strepitoso capitalismo all’italiana. Si incrociano la storia delle banche, quella delle imprese e quella dell’intero Paese. Mattioli, il banchiere di Vasto che per quarant’anni guidò la Comit, amico del filosofo Benedetto Croce, che di lui diceva essere l’unico ad aver letto tutti i libri che comprava. La fondazione a Napoli dell’Istituto superiore di studi storici. E che per proteggere le persone della sua Comit dalle leggi razziali fasciste le mandò in Perù e in Svizzera. Che fu al fianco di Enrico Mattei, prima quando era nel Comitato di liberazione nazionale e poi all’Agip e poi scrisse a Nelson Rockefeller per difenderlo.
Storie che si incrociano come quando Donato Menichella, figlio di un imprenditore agricolo della Capitanata, che combatte nella Prima guerra mondiale, poi si laurea al Cesare Alfieri di Firenze, che diceva sempre «la ricchezza del Paese è nelle sue conoscenze». La lettera al capitano Andrew Karmarck che riuscì a convincere tutti a non smantellare l’Iri. Le 58 ore di viaggio su un quadrimotore al fianco di Alcide De Gasperi per il viaggio verso le Nazioni Unite.
Menichella che in un treno incontra Carlo Draghi, il padre di Mario e lo stesso Mario, quindicenne, che bussa alla porta di Guido Carli, all’epoca governatore della Banca d’Italia, per portare il volume di scritti di tecnica bancaria del padre raccolti dalla madre. Passaggi di testimone avvenuti anni dopo. Storia di uomini, come Menichella e Alberto Beneduce, o come Amadeo Peter Giannini, fondatore della Bank of Italy prima e della Bank Of America, poi. Il cui ruolo è inversamente proporzionale alla notorietà. Un’autorevolezza nella distanza e nell’impegno per il bene comune. Non nella finta e simulata vicinanza.