la Repubblica, 13 giugno 2024
Intervista a Edward Norton
Tra gli attori che si sono affermati negli ultimi decenni, Edward Norton è colui che si è messo maggiormente in luce per scelte sorprendenti ed eclettiche, che lo hanno visto esibire il suo formidabile talento in film diversissimi quali Fight Clube Moonrise Kingdom, Larry Flint – Oltre lo scandalo eBirdman, alternando personaggi con una purezza al limite dell’ingenuità ad altri attirati dal male: il fidanzatino di Tutti dicono I love you è a dir poco opposto rispetto al neonazista diAmerican History X.Metodico, esigente e scrupoloso, ingaggia accese discussioni con i registi sulla psicologia dei personaggi e l’arco narrativo della storia, arrivando a riscrivere a volte i ruoli. Brett Ratner, che lo ha diretto in Red Dragon, racconta che Norton «è sempre nella posizione di salvare il film, e questa è insieme una benedizione e una maledizione». Ha già ricevuto tre candidature all’Oscar, e il desiderio di mettersi alla prova lo ha portato a cimentarsi nella regia, dove ha rivelato la solidità di chi sa quello che vuole e mette tutta la propria professionalità per realizzarlo.Estremamente riservato nella vita privata, è in prima fila nelle battaglie per la difesa dell’ambiente e non fa mancare la sua voce nella lotta politica, da convinto sostenitore del partito democratico. «È così, ma essendo io un attore, credo che sia più giusto che parli del mio mestiere» mi dice, «penso che sarebbe bello se ognuno evitasse di pontificare in campi non propri».Cosa le ha insegnato iniziare come attore teatrale?«È stata un’esperienza fondamentale innanzitutto per quanto riguarda la costruzione di un personaggio. Quando ho iniziato a fare il cinema ho dovuto disimparare molte cose».Cosa intende?«Sul palcoscenico l’attore deve avere in ogni momento la visione complessiva del personaggio. Nel cinema è invece in primo luogo il regista ad avere la responsabilità di controllarla, mentre l’interprete recita attraverso frammenti.Per un attore ciò rappresenta una sfida psicologica: Milos Forman girava lunghissimi ciak che mi lasciavano nel panico perché non mi sembravano riusciti, ma lui era capace di utilizzarne sempre momenti perfetti, proprio perché aveva una visione d’insieme, facendo di fatto anche il montatore».Come ha visto cambiare Hollywood con l’avvento degli streamers?«Penso che si attribuisca troppa importanza al momento conclusivo della fruizione del prodotto. La scomparsa dell’esperienza della sala cinematografica sarebbe drammatica, tuttavia i nuovi canali hanno moltiplicato le possibilità di esprimersi, aprendo nuove strade come le serie. Dalpunto di vista delle potenzialità creative, ci troviamo in un’età dell’oro».Da qualche tempo lei ha iniziato a produrre: con quale criterio e fine seleziona i film?«Produrre rappresenta qualcosa che non faccio per passione, ma perché a volte è l’unico modo per realizzare film ai quali tengo. Altro discorso è la regia, che per me è un’esperienza di completamento del mio lavoro di attore».Mette invece tutta la sua passione nelle battaglie per l’ambiente.«È una fondamentale battaglia di civiltà, che per la nostra generazione ha lo stesso valore che la Seconda guerra mondiale ha avuto per i nostri nonni».Ha dichiarato di aver accettato di interpretare “Fight Club” per gli elementi etici presenti nella storia.«Rimasi rapito da quella vicenda che raccontava di persone allevate dalla televisione che si trovano a scoprire un senso di vuoto e disperazione per aver ereditato valori costruiti dalla pubblicità. Chuck Palahniuk ha creato una storia drammaticamente e moralmente attuale».Lei ha lavorato con attori leggendari quali Marlon Brando e Robert De Niro: qual è stata la loro lezione?«Di Marlon ho ammirato la voglia di sperimentare, il senso dell’umorismo e la leggerezza con cui si metteva completamente a nudo. Di Bob la grande disciplina e il rigore con cui riesce a evitare ogni elemento melodrammatico».Proviamo a dare una descrizione di alcuni registi che l’hanno diretta, iniziando da Milos Forman.«Un grande regista che ha elaborato sempre il tema della ribellione nei confronti di istituzioni oppressive. Per molti versi era anche un antropologo».David Fincher.«Probabilmente il regista più dotato tecnicamente con il quale abbia mai lavorato».Woody Allen.«Un autentico autore, che soprattutto negli anni ‘80 ha creato uno stile e un linguaggio unico».Wes Anderson.«Un altro autore con uno stile inconfondibile, che dietro una impeccabile precisione estetica nasconde emozioni e una vulnerabilità commovente».Alejandro Iñárritu.«Un altro grande regista che conosce perfettamente la tecnica cinematografica. È anche uno sperimentatore che utilizza il suo linguaggio per meditazioni filosofiche: mi ricorda Philippe Petite, l’uomo che camminò su una fune tra le due Torri gemelle».