Corriere della Sera, 12 giugno 2024
Intervista a Luigi Di Maio
roma
Luigi Di Maio era seduto lungo il fiume. Era lì che aspettava il primo, vero passo falso di Giuseppe Conte. «Sono stato in silenzio per tutta la campagna elettorale. Mi ha meravigliato che Conte e Renzi mi abbiano nominato spesso nelle loro interviste ai quotidiani e alle tv – dice l’ex ministro degli Esteri del governo Draghi –. Anche per questo adesso mi sento in dovere di dire qualcosa». Di Maio parla dall’aeroporto di Bruxelles, è in partenza per Washington, dove ha in programma incontri al Pentagono e al Dipartimento di Stato, nella sua veste di rappresentante Ue per il Golfo. Ma in questa intervista parla soprattutto da ex capo politico del Movimento 5 stelle, da cui si è allontanato ormai due anni fa, ma la cui parabola osserva ancora con interesse.
Dal 2013, da quando Beppe Grillo vi ha portati in Parlamento, per i 5 stelle è il risultato peggiore…
«È una performance da elezioni amministrative, non da elezioni di respiro nazionale. Anzi, penso che, di recente, persino alle Amministrative il M5s sia andato meglio. Questa volta perde addirittura il primato al Sud e in regioni come la Campania e la Sicilia, in città come Napoli. Il Pd è stato più bravo a interpretare la difesa dei diritti sociali, su cui noi eravamo un riferimento per le persone. Chi ha perso il reddito di cittadinanza ha capito di averlo perso anche perché i 5 stelle hanno fatto cadere il governo Draghi. Conte ha compiuto il capolavoro di far tornare il bipolarismo».
Qual è la sua principale responsabilità?
«Aver snaturato il Movimento, che oggi è un partito ancora più chiuso e verticistico del passato. Un tempo era più plurale, c’erano più “anime” diverse. Conte lo ha modellato a sua immagine e somiglianza, ha fatto un’operazione legittima, che gli è stata consentita senza che nessuno alzasse un dito. Per questo credo che, nonostante questo risultato negativo, dentro al Movimento non cambierà niente».
Nessuno metterà in discussione la leadership di Conte?
«Sarebbero patetici a farlo ora, troppo comodo. Non ho mai sopportato chi sta nell’ombra nei momenti buoni ed esce fuori solo quando non può ricavare più vantaggi. Quanto a Grillo, ha 300 mila buoni motivi per restare in silenzio».
Traduco: pagato come consulente della comunicazione per tenerlo buono. Però si è fatto sentire per blindare il limite dei due mandati, che secondo molti sarebbe tra le ragioni delle liste elettorali deboli e del crollo nelle urne...
«La debolezza delle liste esiste da 15 anni. Eravamo tutti dei signor nessuno. Dai primi sindaci eletti nel 2012 fino al risultato del 33%. È sempre stato un voto di opinione, mai un voto di preferenza. E sicuramente questo ha sempre inciso sui risultati delle amministrative, a parte alcune eccezioni. In ogni caso, seguo divertito il dibattito sul doppio mandato. Vuoi vedere che la soluzione proposta dal movimento per risolvere la sua crisi, è la politica di professione?».
Conte saprà adattarsi al ridimensionamento politico del Movimento, reso evidente da questo voto europeo?
«Non lo so, ma ho sempre pensato che dalle elezioni si possano ricavare lezioni importanti. Bisogna comprendere e rispettare i segnali che arrivano dai cittadini. Io l’ho fatto, anche quando mi hanno mandato a casa. Credo che il M5s possa contribuire alla costruzione di un’alleanza strutturale nel centrosinistra per offrire un’idea alternativa di governo».
Quali sono queste lezioni e questi segnali?
«Prima di tutto, il Movimento deve mettere a posto la sua politica estera: si dice che non serva a prendere voti, ma poi ti presenta il conto in Europa, relegandoti nei non iscritti, dove non si incide in nessuna maniera. Abbiamo visto che non porta grandi consensi suggerire di abbandonare l’Ucraina al proprio destino, interrompendo l’invio di armi. Come non li porta mettere in discussione la nostra alleanza con gli Stati Uniti o il ruolo che svolge la Nato. Cosa che Giorgia Meloni ha capito benissimo, riposizionando Fratelli d’Italia».
Quindi, i 5 stelle hanno sbagliato a puntare tutto sul pacifismo?
«Se i cittadini percepiscono che le tue proposte non sono fattibili o realistiche, non ti votano. Guardiamo i risultati: vincono i partiti che hanno sostenuto e sostengono i cardini dell’agenda Draghi, a partire dall’Ucraina, che sostengono Israele, supportando la soluzione a due stati, e che hanno preso una ferma posizione sulla Nato e sull’europeismo. Fratelli d’Italia e Pd in questa tornata elettorale hanno ottenuto circa il 50% quasi dei consensi. Perdono, invece, i partiti che hanno buttato giù Draghi e perdono i due leader di centro che, incapaci di trovare un accordo, si sono cannibalizzati a vicenda».
E siamo tornati all’agenda Draghi: dica la verità, anche lei lo sogna presidente della Commissione europea?
«Io non credo che Draghi, in questo momento, sia interessato a entrare in competizione con von der Leyen, che resta l’unica candidata presidente della Commissione per il Partito Popolare, vincitore di queste elezioni. La maggioranza con socialisti e Renew sembra tenere: starà a loro decidere se e come allargare la maggioranza in Parlamento».
Toccherà a Elly Schlein, invece, provare a unire i partiti del centrosinistra: come la vede?
«Intanto, credo che il Pd in queste Europee sia stato votato anche da molti ex elettori del Movimento, soprattutto al Sud. E sono contento per tanti amministratori in gamba che verranno a Bruxelles. Quanto a Schlein, non sarà una missione semplice, anche perché in politica i voti non si sommano. Si fa presto a dire che, tutti insieme, i partiti di opposizione sono davanti al centrodestra, ma la sfida è costruire una proposta organica e credibile».
Per lei, invece, ci sarà un futuro nella politica italiana?
«Il mio futuro sono mio figlio, che nascerà a settembre, e la mia compagna con cui vogliamo costruire una famiglia. Ho tutto l’interesse a portare a termine il mio mandato presso le istituzioni europee continuando a lavorare come ho sempre fatto». —