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 2024  giugno 12 Mercoledì calendario

Intervista a Valeria Golino

Non è mai facile quando si intervista una sorta di sorella, che poi è la nostra attrice più dotata, l’unica ad aver vinto due volte la Coppa Volpi a Venezia. Perché bisogna riposizionarsi, cercare la giusta distanza mantenendo la complicità. Un grande aiuto me lo dà lei, Valeria Golino, con le sue considerazioni senza rete, mai scontate, con la sua libertà liquida, la sua pazza anarchia. Domani nelle sale esce la seconda parte di L’arte della gioia, dal romanzo di Goliarda Sapienza, di cui Valeria è regista. L’erotismo e la seduttività con uno sguardo femminile. Modesta (la interpreta Tecla Insolia), è un personaggio dall’adolescenza selvaggia che non conosce il limite. Profondo Sud, primo ’900.
Goliarda è una scrittrice la cui vita è un romanzo.
«L’ho conosciuta al tempo del mio primo film, nel 1986, Storia d’amore di Citto Maselli, mi faceva da coach di linguaggio. Cercava il bello ovunque. Io non l’ho capita, ero troppo giovane ed è il mio rimpianto. C’è qualcosa in Modesta che mi riguarda, Goliarda mi dava dei buffetti sulla guancia e mi diceva la stessa cosa. Un po’ come Valeria Bruni Tedeschi, nei panni della principessa madre della suora Jasmine Trinca, che a Modesta dice: ma che nome brutto che hai, che aggettivo deprimente. Così io non riuscivo a capire Goliarda, non mi sembrava un complimento, modesta non si dice a una ragazza».
Anche tu, come Modesta con la suora, hai avuto un mentore?
«Ne ho avuti due. Registi entrambi. Citto Maselli e Peter Del Monte, che teneva a distanza i suoi attori, voleva riuscire a immaginarseli più che conoscerli nel quotidiano. Mi è rimasto come attrice, nel non svelarmi troppo».
Perché Peter Del Monte non è mai uscito dalla nicchia dei cinefili?
«È uno dei misteri di questo mercato traballante che si chiama cinema».
E Maselli com’era?
«Era l’esatto contrario. Carnale, morboso, invadente, voleva possederti nella testa. È stato il più grande direttore di attori che abbia mai conosciuto. Mi metteva a mio agio e a disagio. Nella scena in cui vado a trovare l’amante di mio padre sono una ragazza che deve affrontare l’abbandono. Citto voleva un dolore specifico e mi diceva: vuoi uno schiaffo?».
E...
«E me lo dava. Tra regista e attore si innesca un gioco di potere e di piccole umiliazioni. Non era abuso di potere. Quando sei in quella tensione creativa, ci sta. Il regista ha la licenza di uccidere. Oggi uno schiaffo non si potrebbe più dare».
Tu come sei come regista?
«Amorevole, amo i miei attori, non lo faccio per tattica. Piccoli cazziatoni li faccio ogni tanto, a volte è l’attore che te lo chiede».
Con «Storia d’amore» hai vinto la tua prima Coppa Volpi a Venezia.
«Avevo 19 anni, mi chiamarono all’ultimo momento, mia madre mi comprò il vestito, a portafogli, di seta, semplice. A quell’età qualsiasi cosa metti, va bene».
Stavi parlando di Valeria Bruni Tedeschi. Come argini la sua furia?
«Lei è straordinaria, lei è fuori concorso, è quella roba lì. La prima volta la incontrai al Festival di Locarno: io ero in giuria e la premiai come migliore attrice. Sto parlando di 25 anni fa. Non era ancora così conosciuta. Ci sono cose che le vengono più facili. Di lei vorrei avere la soglia della vergogna, che per me arriva prima. Valeria sul set comincia a divertirsi dalla sua soglia di vergogna in poi. Espone la sua anima. Questo scavallamento le dà una libertà incredibile che talvolta la fa andare alla deriva e devi dirle stop».
Nell’«Arte della gioia» c’è la prima Guerra mondiale sullo sfondo. C’è Putin. Pensi mai a un’eventuale Terza guerra mondiale?
«Sì, lo sento come tema, ma senza capirne gli argini non avendo mai vissuto un conflitto. Pensiamo sempre che succede agli altri».
Continuando col gioco di specchi, anche tu sei una bugiarda seriale, come Modesta?
«Lo sono sempre meno. Ero più bugiarda da piccola, mi serviva di più esserlo. Forse oggi non ho bisogno di sembrare più bella o più brava di quello che sono. Ho capito che non si può piacere a tutti, mentre prima era un mio desiderio infantile. Ho guadagnato il diritto a non giustificarmi. Comunque non mi piace avere torto».
Modesta ha un’adolescenza selvaggia. La tua com’è stata?
«I miei genitori, Luigi e Laila, si separarono presto. Con mia madre, dai 5 ai 9 anni e poi dai 12 ai 16, andai a vivere nella sua Grecia con mio fratello grande, Sandro, che vive in Francia ed è un sassofonista jazz (dopo nacque Claudio, un cervellone che fa l’ingegnere manager). Furono anni gioiosi. Andavo dalla Grecia a Sorrento, da mio padre, e Nora, la mia seconda madre. Anni più malinconici, anche se la Campania è meravigliosa».
Ma è vera ’sta cosa di greci e italiani una faccia una razza?
(ride) «Lo dicono i greci degli italiani. Ci amano, nell’immaginario siamo stati nella seconda Guerra gli invasori con una umanità che non ci ha fatti odiare. Noi verso i greci siamo come i francesi con noi».
Dici sempre di non avere vissuto l’adolescenza.
«Perché a 13 anni mi hanno operata di scoliosi a Chicago. Cinque mesi a letto. Se non altro non andavo a scuola. Una volta rubai in un grande magazzino, ma te l’ho già raccontato».
Hai girato 18 film in America.
«Dustin Hoffmann mi regalava vitamine, Tom Cruise affettuosamente mi regalava quadri e orologi. Sono aneddoti che quasi non mi riguardano più. Sono successe tante altre cose belle e mancate, a parte il provino per Pretty Woman quando ero rimasta l’unica accanto a Julia Roberts. Ecco, c’è una cosa che non ho mai rivelato. Ancora Julia Roberts mi fu preferita in Linea mortale di Joel Schumacher. Anzi, andò peggio. Lei rinunciò al film, poi due giorni prima che firmassi il contratto (e avevano riscritto la storia su di me) ci ripensò. Presero lei. Joel mi scrisse una lettera bellissima».
Cosa ti diceva?
«È come se fossi stato sposato a una donna che credevo morta, dispersa in mare. E qualcuno me la riportò sulla riva. Poi sei arrivata tu, Valeria, e io, mi innamorai di nuovo. Ma era tornata la mia sposa».
Bella. Ma hai preso due sberle da Julia Roberts, altro che Citto Maselli: gliel’hai mai detto?
«No. L’ho incontrata un paio di volte, lei parla a macchinetta. Io ridevo».
Ti sei presa la rivincita, tu nella maturità sei ancora in prima linea ai festival, lei fa le serie.
Dice grazie in silenzio: «...Però era un animale cinematografico di rara potenza».
Ti pesa la mancata maternità?
«Mi pesava mentre cercavo di diventarlo. Ora vedo i bambini e mi sciolgo, ma non ho quel sentimento di perdita nel mio quotidiano. Anzi, forse ho un piccolo sollievo. Uno si adatta rispetto a quello che ti offre la vita».
Come vivi il tempo che passa?
«Faccio fatica nel quotidiano a vedere i cambiamenti del mio corpo, la manutenzione per cui mi servono più vitamine, devo camminare di più... Io per anni non ci ho dovuto pensare. Vedo delle asimmetrie che si creano nella faccia, non è facile per una donna che fa questo mestiere e si deve guardare in continuazione. Sul set vado meno a rivedermi sul monitor. C’è uno scollamento tra la percezione di me stessa e quello che sono veramente».
Sei stata pornostar in un film.
«Pupa, un’attrice hard in declino, gattara come me, in Te l’avevo detto di Ginevra Elkann. Il porno, la cosa più lontana da me, mi ha fatto uscire dalla comfort zone. Ho scoperto che tutto quello che mi sembrava così distante non lo era così tanto. Mi è bastato spostare un pochino la mia voglia di sedurre. Ci sono cose che sono insite, basta guardarle da un’altra prospettiva e tu sei anche quella cosa lì».
Gérard Depardieu sepolto da accuse di molestia: innocente o colpevole?
«Non so cos’è successo. Ho fatto tre film con lui, oltre a essere un gigantesco attore è sempre stato super affettuoso e rispettoso. Fa battute volgari ma è la sua indole. Sembra aggressivo ma è il suo modo di difendersi».
Sulle quote rosa sei stata la prima attrice critica, dicendo che è una sconfitta per le donne e un ghetto.
«Allora, se parliamo di equità dei salari è ancora una battaglia lunga e sacrosanta. Le quote rosa, già il suono di queste due parole mi imbarazza. Non è per me».
Capitolo sentimentale. Si può diventare amici dopo che ci si lascia?
«Se ti riferisci a Riccardo Scamarcio o a Fabrizio Bentivoglio, se non ci si è fatti deliberatamente del male ci si vuole molto bene. E con loro due è così. Anch’io, con altri, ho fatto del male. Da sei anni sto con Fabio Palombi, che non fa cinema ed è più giovane di me. Per gli altri non penso sia un problema». Si ferma, sorride. «Per me nemmeno, non ancora».
E hai mai tradito?
«Solo quando è stato necessario».
Se ti dovessi descrivere a una ragazzina che non ti ha mai sentito nominare?
«Bisogna smetterla di descriverci, scrivere nei social sono questo e sono quello. È sminuente. C’è molta più libertà nel dubbio, lì c’è la ricerca di quello che sei veramente».
Sei felice?
«È una cosa a cui si anela. La ricerca della felicità è sempre più interessante. Il futuro e il passato non sono completamente nei miei pensieri. Vivo nel presente».
Sei una donna straordinariamente libera nei pensieri.
«È un pericoloso regalo che mi hanno fatto i miei genitori».