Avvenire, 12 giugno 2024
Elezioni, l’analisi di De Rita
«Chi esulta per esser stato eletto, o per aver vinto le elezioni, farebbe meglio a interrogarsi sul perché è stato votato da alcuni, mentre la maggioranza delle persone ha disertato le urne. Chiedersi che cosa è mancato», Giuseppe de Rita commenta le elezioni, e soprattutto il non voto diventato maggioritario. Il fondatore del Censis colloca anche i cattolici, tanti di loro almeno, fra gli astenuti: «Per gran parte di loro, fra tanti personalismi, mancava una proposta di governo con l’appeal sufficiente per indurli ad andare a votare».
Che cosa è mancato?
Votavamo per le Europee e votavamo con il proporzionale. Ogni partito avrebbe dovuto competere mettendo in gioco la propria identità, la sua visione, invece ho l’impressione che la gente abbia votato per Meloni, per Vannacci, per Tarquinio. Chi ha trovato una persona in cui identificarsi l’ha votata, ma non tutti si possono riconoscere in tendenze personali, quando mancano delle proposte politiche collettive. Non a caso una sigla, quella di Avs, che ha intercettato in qualche misura una visione collettiva, è stata premiata.
Li vede come i veri vincitori?
Andrei cauto, intendo dire che si sono mossi in contro-tendenza puntando su una visione e non su una identificazione personale, ma abbiamo sufficiente esperienza della volatilità che ha assunto il voto, con questi livelli di partecipazione, un giudizio si potrà dare solo fra 5-10 anni.
Al centro è avvenuto l’esatto contrario: divisione, personalismo. E un milione e mezzo di voti è andato in fumo.
Il centro è il luogo in cui si governa. Nel senso positivo del temine, intendo. Il luogo in cui si fa sintesi e si offrono delle soluzioni per il bene comune. A chi si propone al centro è richiesta una cultura diversa, un partito strutturato con un ufficio studi, una classe dirigente: non si può scimmiottare gli altri con gli slogan e i personalismi. Si rischia, come è avvenuto, che la gente preferisca l’originale, e se non c’è un partito di governo viene premiata una personalità di governo, quale Meloni indubbiamente ha dimostrato di essere, pur non essendo il suo un partito strutturato come un partito di governo.
E Schlein?
Mi pare che anche lei, come gli altri, prediliga una visione movimentista, alternativa agli altri. La cultura di governo è più difficile, ed è anche rischiosa, impopolare: è più facile presentarsi come anti-sistema, ed è la scelta che fanno un po’ tutti.
Lei ha partecipato a vari incontri in cui emergeva la richiesta in ambito cattolico di una nuova offerta politica al centro. Ma Azione e Iv, oltre ad annullarsi a vicenda, non hanno mostrato particolare interesse a intercettare questa richiesta.
I cattolici non potevano essere attirati da un centro di questo tipo. Non è nemmeno un problema di contenuti, quanto di metodo, di qualità della proposta. Si possono avere idee diverse, come accadeva nella Dc, ma il tratto comune deve essere un’impostazione verso il bene comune, la ricerca di una sintesi, tipica di una proposta di centro credibile. Invece si è caduti nel personalismo, come gli altri, con posizioni “ballerine”, prive di solidità e approfondimento. Senza la capacità, o la volontà, di mettere assieme una classe dirigente credibile. E di fronte agi avventurismi personali è prevalsa la tentazione di disinteressarsi della politica.
Anche i cattolici sono diventati astensionisti?
Nessuna delle proposte politiche aveva un appeal accettabile per una cultura di governo, orientata al bene comune come nella tradizione dei cattolici.
Occorrerà riprovarci?
Riaccadrà, il centro ha questo ruolo insostituibile e, presto o tardi, una proposta credibile verrà fuori.
E i cattolici nel frattempo come debbono comportarsi?
Debbono partecipare, valutare giudicare. Senza la frenesia di fare una cosa in proprio. Ma anche con la determinazione di non tradire la propria identità, che ha sempre considerato la politica come una forma di partecipazione per il bene comune, e non una contrapposizione che mira solo a prevalere sull’altro. Ci vorrà tempo, occorrerà un grande lavoro, e invece per fretta ci si innamora troppo facilmente di modelli effimeri che poi non reggono nel tempo, alla prova dei fatti.
Di Europa si è parlato poco. Peccato, i cattolici sono stati i protagonisti di questo processo, era una bella occasione.
L’Europa ha vissuto due fasi. La prima, quella della sua fondazione – io ho avuto l’onore di far parte della delegazione dei trattati di Roma – ha visto come protagonisti i cattolici fra i padri fondatori, ed è stata una fase di grande visione politica. Poi c’è stata una stagione contrassegnata dai burocrati, ma anch’essa ha prodotto dei risultati, almeno limitatamente all’aspetto economico. Ora è richiesta una nuova fase “politica”, per offrire le risposte che la questione ucraina, quella del Medio Oriente richiedono. Per un progetto del genere occorrerebbero degli statisti, l’Italia avrebbe dovuto schierare le sue forze migliori, invece i politici si sono messi in lista solo per acchiappare voti, con obiettivi prettamente domestici, di prendere un voto più dell’altro nell’ottica di quella politica personalistica e senza visione di cui parlavo.
Un quadro deludente.
Non bisogna demordere. Occorre lavorare, impegnarsi, giudicare: le cose non cambiano dalla sera alla mattina. E soprattutto non cambiano senza il nostro impegno, senza il nostro essere più esigenti e propositivi.