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 2024  giugno 12 Mercoledì calendario

Intervista a Paolo Conticini

“Si chiama Gigi, ha 57 anni e sta sempre con me”.
Chi è Gigi?
Un orsacchiotto di peluche.
Paolo Conticini, si spieghi.
Fu donato a mio fratello, nato poco prima di me. Lui lo rifiutò, lo presi io. Da allora non me ne separo mai. L’ho portato pure in scena per un mio spettacolo dedicato a tutte le prime volte della mia vita.
Perché Gigi?
Nonno mi diceva: ‘Ti porto allo zoo di Livorno per vedere Gigi’. Ma noi siamo pisani, potrebbe essere stata una beffa. Magari lì non è mai esistito un orso con quel nome.
Questo suo portafortuna ci aiuta a riflettere sui ricordi innescati dagli oggetti che ci sono cari.
Che è il cuore del format che conduco da anni sul 9, Cash or Trash. Piuttosto che disfarsene, le persone ci portano cose che stanno in casa da una vita: ne facciamo valutare il valore da un esperto, e dei mercanti d’arte offrono denaro per aggiudicarsele. Somme che non ti cambiano l’esistenza, però evitano il dolore della discarica.
Qualcuna di queste storie l’ha colpita?
Coppia di omosessuali sposati. Uno dei due muore: collezionava Barbie, che il partner ha sempre detestato, e li spingevano a litigare. È venuto da noi con quelle bambole per celebrare il compagno. Per sottolineare il loro legame sentimentale.
Cash or Trash è in onda dal lunedì al venerdì, per tutta l’estate. In autunno arriva Amadeus.
Non so se oltre alla prima serata si occuperà pure della fascia precedente. Amadeus ha bisogno di me (ride). No, ovvio che ci traineremo a vicenda. Credo nel lavoro di squadra. La rete ha fatto una formidabile campagna acquisti: Ama ha quel linguaggio moderno e al tempo stesso garbato che è la stessa mia cifra. Si entra nelle case altrui con educazione.
Troppa tv è diventata una fiera della volgarità.
Vedo disastri ovunque, giudizi preventivi, insulti, grida. Tanto che ora ci stupiamo della civiltà dei rapporti. Un giorno passeggiavo in un paesino della Calabria con mia moglie e un ragazzino mi ha salutato. E non perché mi avesse riconosciuto. Io a bocca aperta: ‘Mi ha detto buongiorno!’.
Tornando alle “prime volte”: è vero che il suo debutto nell’impero dei sensi è avvenuto a 13 anni?
Ahahah. Questa ragazza girava intorno al campo sportivo dove giocavo. Mi attirò nella sua tana, la camera dei genitori.
Lei giocava a calcio.
Nelle giovanili del Pisa. Ero un centravanti promettente.
E?
Andai in prova all’Olbia. I compagni mi portarono a prendere un aperitivo e fui cacciato.
Carriera stroncata per un aperitivo?
La società sarda mi rispedì al mittente. Oggi i calciatori ne combinano di ogni sorta, allora eravamo soldatini.
Abbiamo perso un bomber ma guadagnato uno showman.
Aprii una palestra con mio fratello, poi è capitato il cinema. E le fiction, lo Zecchino d’Oro, il David di Donatello. Le conduzioni.
Prossimo impegno sul set?
A settembre, una commedia diretta da Fornari e Maia con Boldi. Che è completamente pazzo (ride).
Ha l’ormone giovanile…
Fa bene, fa bene!
Chissà quanti aneddoti nei cinepanettoni.
Mille. Di uno sono stato testimone privilegiato, non ero nel cast. S.P.Q.R., Boldi e De Sica su una biga lungo le Mura Aureliane. Non c’erano i cavalli, ovviamente: la biga era trainata da un trattorino. Al suo fianco, a bordo di una Mehari, la macchina da presa, l’operatore e Carlo Vanzina. A un certo punto il trattore scoperchia un tombino, si alza un’impressionante colonna di merda che investe la Mehari e il malcapitato regista.
Risate a crepapelle.
Tutti avevano le lacrime agli occhi ma con Vanzina rigavano dritti. E poi la vittima era lui, meglio farsi gli affari propri.
Anche il suo amico Christian restò serio?
De Sica è un bravissimo attore, uno che sa controllarsi perfettamente quando si gira. E pochi sanno che è anche un grande maestro di recitazione.
A lei quante ne sono capitate?
A teatro in continuazione. Spesso il pubblico si sente coinvolto e interviene, non capendo che ti mette in difficoltà. Una sera eravamo nel sud della Sicilia con Un americano a Parigi. La povera Monica Scattini doveva bere un liquore avvelenato, un tizio dal fondo gridò: ‘Non farlo, non farlo!’. Eravamo credibili, direi.