la Repubblica, 12 giugno 2024
Cos’è successo al sogno di De Gaulle
Non è esagerato considerare che dall’una del pomeriggio di martedì la storia della Quinta Repubblica, fondata nel 1958 nel pieno della crisi algerina dal generale De Gaulle, è di fronte a un bivio.Eric Ciotti, il presidente dei Républicains, il malconcio erede di quello che fu il glorioso partito gollista francese – e che all’ultima elezione presidenziale non ha saputo raccogliere nemmeno il 5% dei voti – ha annunciato la sua disponibilità a un accordo in vista delle legislative del prossimo 30 giugno e 7 luglio. Si tratta di un terremoto che fa seguito all’improvvisa, storica, decisione di domenica del presidente della Repubblica Macron di sciogliere l’Assemblea nazionale di fronte altrionfo del Rassemblement national.Per capire la dimensione del trionfo basta un dato: in 96 province, 94 hanno visto il partito di Marine Le Pen e Jordan Bardella al primo posto. Soltanto Parigi e i tre dipartimenti dell’Île de France resistono. La campagna di Francia è stata vinta, comincia l’assedio.Ma la geografia non basta per capire questo momento. Bisogna tornare alla storia di una figura che ha plasmato un’epoca, un’élite, ricostruendo il progetto di uno Stato. Nel pieno della crisi algerina, De Gaulle torna dopo una traversata del deserto da eroe della Resistenza e da padre della nazione per fare votare una nuova Costituzione che chiude una sorta di colpo di Stato.Nell’eccezione fonda un metodo, impone una linea politica ampia e duratura, un’eredità larghissima. “Una certa idea della Francia”, come scrive nell’incipit delle sue Memorie. Uno dei suoi più geniali consiglieri – forse oggi potremmo definirlo uno spin doctor – lo scrittore Malraux, l’avrebbe riassunta in unaformula lapidaria: «Due correnti attraversano la storia di Francia, da una parte la sinistra e Marx, dall’altra la destra e Maurras – De Gaulle ne ha fatto una sintesi».In Francia, tutti, o quasi, si pretendono gollisti: da Mélenchon a Macron o Le Pen. Perché in De Gaulle si trova tutto, o quasi: il progresso, la società, il movimento, ma anche la conservazione e una destra che va molto in là ma che si dà un limite fondamentale: Vichy. Una tradizione: la Resistenza. Un mito fondamentale: la Francia rimasta libera – sono Pétain e i suoi ad averla tradita, capitolando, quando l’Impero avrebbe potuto continuare la guerra contro Hitler. Quando il Generale a Londra il 18 giugno diceva: «Qualunque cosa accada, la fiamma della resistenza francese non si dovrà spegnere e non si spegnerà», la Repubblica era con lui.Per questo per De Gaulle è un’evidenza che la Francia debba sedere con le potenze alleate della Seconda guerra mondiale, con gli Stati Uniti, con l’Inghilterra e con l’Urss. Per questo la Francia non festeggia, come l’Italia, la sua Liberazione, ma la sua Vittoria.Una scena recente illustra nella sua banalità fino a che punto questa continuità resti centrale. In un talk show, un paio di giorni fa, il sindaco di Meaux, Jean-François Copé, ex ministro e soprattutto ex presidente del Partito dei popolari francesi, si era sentito dire: «La differenza tra voi e il Rassemblement national è che voi siete stati al potere, loro no. E per questo possono beneficiare di una specie di attrazione, un po’ irrazionale. In fondo la gente si dice: proviamoli». La sua risposta: «Sono stati al potere qualche decennio fa, mi sembra…».Non è solo spicciola retorica politica. Il Rassemblement national ha cambiato nome, ma resta il partito fondato con regolare firma in prefettura da Jean-Marie Le Pen e da un ex Waffen-SS, Pierre Bousquet.Quella del padre di Marine è una storia che si è sviluppata nella parte d’ombra del gollismo e della Repubblica. Le accuse di tortura nella guerra in Algeria, quelle di antisemitismo: la centralità della Shoah negata, ridotta a un dettaglio della storia. Per questo quando, nella sorpresa generale, il Front national arriva al secondo turno dell’elezione presidenziale del 2002, Chirac spiega: «Non c’è nessuna transazione possibile, nessun compromesso possibile, nessun dibattito possibile». Un fronte repubblicano appare, per opporsi al Front national. Chirac sarà eletto in un plebiscito al secondo turno con 82,21% dei voti con una partecipazione di 79,71% degli aventi diritto.In questi vent’anni l’impresa familiare Le Pen ha conosciuto una violenta successione al vertice passando dal padre alla figlia, ma continua a fare quello che gli riesce meglio: trasformare rabbia in consenso. Nel frattempo però il fronte repubblicano si è indebolito. Da unione tattica di forze politiche eterogenee, si è trasformata in una strategia permanente, difficile da giustificare e da spiegare senza entrare in una logica di alternanza.Macron ha vinto per due volte contro le Pen, ma con un margine sempre più ridotto e con sempre meno elettori. Nel 2019 con 66,10% al secondo turno (74,56% degli aventi diritto al voto – di cui più di 4 milioni tra bianchi e nulli). Nel 2022 con il 58,55 (71,99% dei votanti e di nuovo più di 4 milioni tra bianchi e nulli). L’efficacia del fronte repubblicano si dimostra, quasi per essenza, inversamente proporzionale alla sua durata.L’annuncio di Ciotti ha suscitato una reazione immediata di quasitutte le figure storiche e di peso del partito. Si tratta di una rottura storica con la dottrina del partito e, più profondamente, con la nozione di fronte repubblicano. Tutti i membri dei Républicains che si trovavano al governo sotto Sarkozy e che hanno deciso di prendere posizione pubblicamente hanno denunciato l’accordo. Il presidente del Senato ha chiesto le dimissioni di Ciotti. Il presidente del movimento giovanile dei Républicains, però, sostiene Ciotti.Marine Le Pen per anticipare un rigetto possibile di un nome che è un marchio ancora radioattivo continua nella sua strategia: utilizzare il giovane e telegenico Jordan Bardella come un “proxy”, parlando a un elettorato che, per la prima volta della storia della Quinta Repubblica da più di dieci anni, non si trova al governo.Qualcosa sta cambiando. La Repubblica fondata da De Gaulle è a un bivio.