La Stampa, 11 giugno 2024
Intervista a Leo Gassmann
Lavorare tanto, lavorare duro, come se non bastasse mai, come se non fossi mai soddisfatto. Come se non ti chiamassi Gassmann, o forse proprio perché ti chiami così e ti hanno insegnato fin da piccolo che l’arte è anche impegno e disciplina, e – come diceva nonno Vittorio – al bivio devi scegliere sempre la strada che ti richiederà più fatica. Il giovane Leo non si risparmia, non sta mai fermo: il prossimo impegno stasera è sul palco di Safety Love a Pesaro, un concerto con tanti altri big per parlare di sicurezza sul lavoro. «Tutelare i lavoratori è importante – dice – e tutti alla stessa maniera: nel mio di lavoro spesso chi è sul palco è più sicuro di chi lavora dietro le quinte. Ma i nostri spettacoli non esisterebbero senza chi fa quel lavoro fuori dai riflettori».
Però lei lavora troppo, o almeno così sostiene papà Alessandro: in un’intervista alla Stampa pochi giorni fa ci ha detto che è preoccupato perché non sta mai fermo e dovrebbe godersi di più i suoi 25 anni. Quello che non sappiamo è cosa risponde lei.
«Io sono molto simile a papà, in realtà. Io la vita la apprezzo moltissimo e cerco di gioirne, però sono consapevole del fatto che vivo un’età in cui bisogna costruire, e questo comporta anche dei sacrifici. Poi a me il tempo libero in questo momento della mia vita mi porta ansia, come la gran parte dei ragazzi di oggi sono affetto da Fomo, la paura di essere tagliati fuori dalle situazioni».
Ansia da prestazione?
«Cerco di dare il massimo per sentirmi all’altezza, però non trascuro il resto, amore, amicizia, viaggi, cerco comunque di ritagliarmi degli spazi».
L’abbiamo vista vestire i panni di Califano in tv, ma da grande vuole fare il cantautore o l’attore?
«Farò tutti e due. Cerco di raccontarmi attraverso quella che chiamiamo arte. La musica e la recitazione mi danno due modi diversi di esprimermi e di esprimere due lati diversi di me. Nella musica esprimo ciò che ambisco a essere, nella recitazione parto da un processo inverso: cercare la mia interiorità e la parte più intima, per raccontare quello che attraverso la musica non riesco a tirare fuori».
Nessun timore dei confronti inevitabili?
«Credo che sia giusto che vada avanti in entrambi i percorsi perché è ciò che mi fa star bene e vedo che fa stare bene anche chi ascolta le canzoni e chi guarda i film. In modo diverso, intercettando anche pubblici differenti. Mi fa piacere con i film avere un pubblico più adulto».
C’è un regista con cui sogna di lavorare?
«Tanti. In Italia Garrone, Sorrentino, i fratelli D’Innocenzo, Muccino».
E allargando lo sguardo oltre l’Italia?
«Se è lecito sognare, allora dico Spielberg».
I film della vita?
«Sicuramente The Artist, poi La ricerca della felicità che forse resta il mio film preferito in assoluto, è una storia che mi emoziona tanto. Poi sono appena tornato da New York e lì c’è davvero gente che muore per strada, ti rendi conto di quanto siamo fortunati».
Nessun altro film?
«Beh, poi mettiamoci anche un film di famiglia: Il sorpasso».
Qual è il complimento più bello che le hanno fatto?
«Faccio fatica a rispondere, dico seriamente, perché i complimenti mi fanno piacere, ma mi imbarazzano anche e me li dimentico un minuto dopo. Odio ritirare dei premi, ad esempio».
Allora parliamo di critiche: le più brucianti?
«La prima in assoluto, quando sono andato in studio di registrazione dopo X Factor, non avevo ancora fatto neanche Sanremo Giovani. C’era un produttore che mi disse che le mie canzoni facevano schifo».
Addirittura.
«Ma grazie a quella chiacchierata molto cruda e diretta, che allora mi fece staredavvero male, le cose sono un po’ cambiate, anche se so che il percorso è ancora lungo».
Ma da bambino invece cosa rispondeva a chi le chiedeva cosa volesse fare da grande?
«Il cantautore e il veterinario».
Ha animali?
«No, però mi piacerebbe un giorno avere un cagnolino con il quale girare il mondo».
A una famiglia sua invece non ci pensa ancora? È vero che l’idea di un figlio la angoscia?
«Mi fa un po’ paura questo mondo, sì. Poi chi lo sa, le cose capitano, però mi fa molta paura il futuro, queste guerre ai confini del nostro mondo protetto, mi fa paura il cambiamento climatico, mi fa paura questa classe dirigente dalla quale non mi sento rappresentato».
È andato a votare?
«Purtroppo no, perché tornato da New York sono direttamente sbarcato a Milano per lavoro e non ce l’ho fatta. Potrei dire sì per fare bella figura, ma la verità è che a volte questo mestiere ti scombussola i piani. Però ho detto a tutti quelli che mi seguono di andare a votare, penso sia importante farlo ed è importante prendere posizione per cercare di portare un messaggio di pace».
Lo sa che la sua primissima copertina gliel’ha data La Stampa con un numero del settimanale Specchio? Lei appena nato stretto tra le braccia di papà, aveva un sorrisone meraviglioso. Che direbbe oggi a quel bambino?
«Sì, ho presente quella fotografia... Gli direi di non perdere mai quel sorriso, che a volte cercheranno di portarglielo via, ma che lui deve cercare di continuare a sorridere». —