La Stampa, 11 giugno 2024
La Nave di Teseo ripubblica tutto Marchesi
Analizzate le sinapsi cerebrali di un boomer e, insieme a molto rock e a molti cantautori, ci troverete alcune formule magiche che lo perseguitano dall’infanzia: il brandy che crea un’atmosfera e la bocca con cui Virna Lisi può dire ciò che vuole, il non è vero che tutto fa brodo e il confetto che basta la parola, il signore che se ne intende e il logorio della vita moderna. Autore di questi mantra nati ai tempi d’oro di Carosello, e pure del titolo di un libro che invece fa molto anni Novanta, quelle formiche che, nel loro piccolo, s’incazzano, è Marcello Marchesi, per sempre “il signore di mezza età”, giocoliere assoluto della parola nato nel 1912 e morto nel 1978 mentre faceva il bagno al mare in Sardegna. Questo meraviglioso personaggio, che viene celebrato stasera alla Milanesiana, per festeggiare la ripubblicazione con la Nave di Teseo dei suoi libri e, insieme, l’acquisizione dei suoi archivi da parte della Fondazione Mondadori, non è facile da spiegare a chi non c’era, perché è quel tipo di figura onnivora e onnicomprensiva –autore, umorista, poeta, copywriter, battutaro, romanziere, entertainer – che negli anni Sessanta, dove tutto era più semplice e facilmente interconnesso, risultava possibile e oggi, forse, no: uno della generazione dei Fellini, degli Ettore Scola e degli Oreste del Buono, ragazzi svegli cresciuti sotto il fascismo e nelle redazioni dei giornali umoristici, il “Marc’Aurelio” di Roma e il “Bertoldo” di Milano, poi infilzati dalla guerra (a lui toccò El Alamein), infine approdati ai libri, al teatro, ai film, alla tivù: sempre con una vena di follia, sempre con un talento specialissimo. Ci aiuta a farlo il figlio Massimo, che non ne ha ricordi diretti e ha dovuto studiarselo: «Quando è morto non avevo neanche due anni, ho cominciato a indagare chi fosse soltanto dopo molto tempo e ne sono stato risucchiato. Scoperchiare il vaso di Pandora mi ha portato a 12 anni di analisi. E a 13 metri lineari di scatoloni: l’enorme casino del suo archivio fatto di taccuini ricoperti di geroglifici, copioni teatrali, sceneggiature, foto, disegni, bozze, minute di romanzi. Ho tenuto sol qualche abito, qualche cappello». Proprio da un cappello (nero, quasi un pork pie hat, un po’ come Marcello Mastroianni in Otto e mezzo: sarà un caso ma anche quello è del 1963), da una pesante montatura di occhiali e da un paio di baffi finti ricominciò la fama di Marchesi: che nel 1963 aveva già scritto milioni di film e di riviste lavorando con tutti, da Macario a Totò a Walter Chiari a Dapporto ad Alberto Sordi a Wanda Osiris, ma che improvvisamente diventò star televisiva. Con Il signore di mezza età, appunto, varietà in cui cantava, ballava, recitava, celebrando le gioie della raggiunta maturità (che faceva rima con tranquillità e serenità): aveva 51 anni, età in cui, nel 2024, si fanno le compilation su TikTok. Con lui, Lina Volonghi e il principiante assoluto Gianni Morandi: un’altra delle sue scoperte, messo davanti a una telecamera in quel magico momento storico in cui i giovani diventavano finalmente una categoria sociale. «Credo che papà in quel momento avesse bisogno di una scossa», racconta Massimo Marchesi. «La vita del signore borghese che abitava nel centro di Milano, con una moglie, la sua prima, molto attenta all’etichetta, l’aveva annoiato. Non era tipo da fare a meno del cambiamento». Poco dopo, anche la sua vita privata prese un’altra strada, con un ennesimo trasferimento da Milano a Roma e una nuova compagna. Intanto, si moltiplicavano le sue definizioni fulminanti, trasmesse senza i social ma col passaparola: Mastroianni Marlon Blando, Aldo Moro Dottor Divago, Andreotti Se non muoio mi risiedo, Mike Bongiorno Tutto è perduto tranne l’ospite d’onore.
E poi la pubblicità, che allora si chiamava réclame e che fece parte del suo impegno professionale per moltissimi anni. Ancora il figlio: «La faceva prima ancora di Carosello, allora l’industria cercava i talenti fra gli scrittori e gli sceneggiatori, insomma tutto si risolveva in un colloquio vis-à-vis con il commendator Falqui. Firmò anche campagne per Esselunga e Alfa Romeo. Ma non teneva particolarmente al fatto che si sapesse. Dopotutto, per lui era “il commercio dell’anima"». Però quegli slogan diventarono l’alfabeto stesso del Boom.
Era amicissimo di Maurizio Costanzo e dei Vanzina, e questa è anche una storia di bambini tenuti a battesimo, perché Massimo di secondo nome si chiama Stefano in onore di Steno, e Camilla, primogenita di Costanzo, ebbe Marchesi come padrino. «Con Michele Guardì, e Guido Clericetti, sono le persone vicine a papà che non mi hanno mai abbandonato». E Walter Chiari? «L’ho visto poco e quand’ero molto piccolo, so che qualcuno ha tentato una contrapposizione con mio padre, lui bello e viveur e papà che pare l’abbia preso sotto la sua ala. Ma non ho un’esperienza diretta. Poi c’era Fellini». Ovvio che si andasse a parare lì. «Si conoscevano bene da ragazzi, ho una foto commovente sulla spiaggia, Federico lungo lungo e papà basso e tracagnotto. Ho trovato anche una cassetta registrata in un bar di Roma tra rumore di camerieri e di stoviglie. L’argomento di cui parlano sono gli scherzi, Marcello stava preparando un programma». È un arcipelago smisurato. Per finire, da dove consiglia di cominciare? Dal Malloppo, il suo libro più importante, quasi un esercizio letterario d’avanguardia. Contiene molte riflessioni anche amare, sulla vita e sulla morte». Un pensiero che, un po’, gli scocciava: «Mi piacerebbe non morire per vedere come va a finire». —