La Stampa, 11 giugno 2024
Revelli prova a spiegare la sinistra a sua figlia
Estratto del libro Questa sinistra inspiegabile a mia figlia (Einaudi)
Questi figli inspiegabili ai loro padri.Ora siamo qui, uno di fronte all’altra, in silenzio, come se le parole, tutte le parole, fossero finite, restassero solo, nudi, i fatti. E i fatti parlano a loro volta di cose finite. Di un mondo che corre accecato verso l’autodistruzione. La guerra, scoppiata in modo ormai ineludibile due anni fa alla periferia dell’Europa, ha conquistato rapidamente le menti e i cuori di chi decide nel suo Centro. Un vento di follia soffia a Bruxelles e nelle cancellerie europee, tra inviti ad armarsi fino ai denti e annunci di prossimi invii di truppe «sul terreno». Mentre Oltreoceano, nel caput mundi, la sfida per chi avrà nelle proprie mani le sorti dell’umanità si giocherà tra due vecchi, uno svanito l’altro criminale… E sulla sponda meridionale del Mediterraneo, in Terrasanta, là dove affondano le radici della nostra civiltà, i sacri principi e le loro memorie vanno in fumo in una carneficina biblica, senza che nessuna voce di profeta giunga a salvare i contendenti dai propri rispettivi demoni. Nessuno dei grandi interdetti che il Novecento, con i suoi orrori e le sue espiazioni, ci aveva consegnato come impensabili esperienze del limite ha resistito alla potenza distruttrice del tempo.
Ad uno ad uno tutti i tabù su cui era fondato il nostro orizzonte morale e politico – l’odio razziale, il suprematismo etnico, la Guerra stessa «come strumento di risoluzione delle controversie internazionali» – sono caduti, dissolti dentro la nube tossica sollevata dall’invasione russa dell’Ucraina. Persino il conflitto nucleare, l’evento terminale dal quale non c’è ritorno, è tornata a essere «pensabile»: un’opzione da considerare, una tra le tante possibili sul tavolo da Risiko degli strateghi globali. Per questo, attraverso le generazioni, ci guardiamo sgomenti, consapevoli dell’impotenza e dell’ignavia di cui siamo entrambi caduti preda. Provo a tirare le somme di questa lunga conversazione.
E mi rendo conto, nel rivedermi, che più mi dilungo in spiegazioni e riflessioni, più cresce il senso di disagio.
Più parlo, più mi sento smarrito. Avrei dovuto spiegare a mia figlia che cos’è la “Sinistra”, e mi scopro incapace di saperlo io stesso, per il banale fatto che quanto più sembrano crescere le sue ragioni, tanto meno appaiono credibili le sue soluzioni. Quanto più sarebbe necessaria, tanto meno appare credibile.
Occorrerebbe uno spirito tragico per registrarlo. Ma il senso del tragico non abita più il nostro tempo. Né il mio smarrimento si ferma qui. Non solo cresce in me l’incertezza sull’oggetto che dovrei spiegare, ma anche quella sul soggetto a cui dovrei spiegarlo: su cosa sia veramente la persona che ho davanti. Chi sia lei, quella con cui ho vissuto per un’intera vita (la sua), con cui ho dialogato ora per giorni e giorni, in qualche misura mesi. Che cosa pensi dietro il velo di distacco, o di rabbia, o di rivendicazione con tratti di énnui baudelairiana che mi stende davanti. Come viva questo nostro enigmatico (e pauroso) presente. Ho dunque dialogato per tutto questo tempo con una “sconosciuta”?
È questa la verità perturbante che alla fine del viaggio mi viene consegnata?
Provo a consolarmi dicendomi che in fondo è sempre stato così, una sorta di legge di natura, che i padri ignorino in realtà quasi tutto dei propri figli. Ma è una bugia pietosa. Per opachi che siano i profili dei figli per i loro padri, nelle generazioni precedenti il velo d’ignoranza non è mai stato così spesso.
In un articolo che mi ha colpito in questi giorni, forse proprio perché metteva il dito sulla mia piaga, Maurizio Maggiani, sotto il titolo “Figli del niente”, alla domanda «cosa vediamo quando guardiamo i giovani?» – ovvero i nostri figli e nipoti – risponde che «vediamo noi, ovvio». E precisa: «La gioventù che pensiamo di avere davanti, quella che da esperti studiamo, da insegnati giudichiamo, da governanti regoliamo, da genitori abbiamo tra i piedi senza capire bene cosa farci, non è che la proiezione di ciò che temiamo, che non capiamo, che vorremmo e non vorremmo, di ciò che colpevolmente abbiamo fatto e che colpevolmente non abbiamo fatto, di ciò che ci sembra di aver fatto bene e temiamo di vedercelo rinfacciare come un torto». Se oggi sembra che le «cose giovanili» abbiano preso una piega che «ha del torvo», e la sua conclusione, questo si deve al fatto che «gli adulti», la generazione «dominante», ci vedono il proprio «fallimento e si specchiano nel disastro che hanno provocato». Un disastro, bisogna aggiungere, non naturale, ovvero non eternamente ripetuto a ogni giro generazionale, ma un disastro storico, relativo al nostro tempo e al nostro mondo, perché se noi – io, la mia generazione, i figli del Baby boom postbellico – siamo cresciuti «avendo l’orrore alle spalle», loro stanno crescendo «avendolo come destino».
«L’animo nostro informe»… Come per una sorta di extrasistole del pensiero, per un attimo vengo tirato giù nel maelstrom di una fuga di riflessioni stranianti. In fondo, mi dico, l’angoscia era stata il grande convitato di pietra dello scorso secolo. L’angoscia tematizzata da Kierkegaard, da Heidegger, da Sartre come percezione della minaccia mortale sempre immanente all’esistenza mondana, rispetto alla quale alla tentazione del nulla si poteva comunque contrapporre la forza costituente della scelta, fosse pure quella di un destino segnato e tuttavia vissuto attivamente. Di lì veniva l’energia di cui si era alimentato appunto l’attivismo della mia generazione. Il dovere di esser-ci, che ci aveva portato magari a sbagliare, certo, ma comunque a reagire. Ora invece anch’essa sembra appannata. Prevale la narcosi. Il sonnambulismo.
Siamo tutti in perenne anestesia. Padri e figli. Giovani e anziani. Colpevoli e innocenti.
Scendo sempre più nel mio cono d’ombra interiore, e forse non ne risalirei per tornare a comunicare, se non mi salvasse lei. Mentre io m’incupisco, la sua espressione si fa invece imprevedibilmente dolce, quasi sorride.
«Sai che c’è?», mi fa: «Se devo essere sincera, non ho per niente chiaro che cosa sia la Sinistra. Dopo tutte queste tue spiegazioni, ho le idee sempre più confuse. E però… e però quando vedo quelli che oggi stanno al governo qui da noi, le faccine della presidente del Consiglio, il negazionismo di La Russa, la sostituzione etnica di Lollobrigida, i saluti romani di Acca Larenzia, quando li vedo per come sono, tronfi del loro ritorno al potere, mi dico che non è possibile che non ci sia qualcosa di opposto. Che deve pur esserci un altro modo di interpretare il proprio essere umani». —