Corriere della Sera, 11 giugno 2024
Scholz tira dritto
BERLINO «Non ci abbiamo pensato neppure un secondo». Così risponde il portavoce del cancelliere Olaf Scholz, quando la mattina dopo la disfatta gli viene chiesto se si andrà alle elezioni anticipate. No, è la risposta, perché la Germania non è la Francia.
E quindi il cancelliere riparte dalla riunione di crisi dei socialdemocratici alla Willy Brandt Haus. Analizzare la sconfitta e tenere le conclusioni per sé, tra la cerchia ristretta: questo è lo stile del cancelliere che il Paese forse non apprezza ma che ha certamente imparato a conoscere. Opposto, anche in questo, Olaf Scholz ad Emmanuel Macron. È solo nel pomeriggio, a 24 ore dalla sconfitta, che il cancelliere dice finalmente la sua quando riceve il presidente cileno, Gabriel Boric e non sfugge più ai giornalisti. «Non si può – ammette – tornare semplicemente al business as usual». Ripete che l’avanzata dell’estrema destra lo preoccupa e che questi partiti non vanno normalizzati. «Non riuscirò mai ad abituarmi a questo, ci si deve sempre impegnare a ricacciarli indietro».
Non sarà business as usual, ma la Spd sembra aver deciso di non cambiare niente, o almeno di non cambiare squadra. Sia il segretario Kevin Kühnert che il presidente Lars Klingbeil si sono detti «abbastanza sicuri» di avere ancora il sostegno dei compagni. Il partito ha imparato dal passato, quando i cambi repentini, e la scelta di puntare su personaggi loquaci e facili alle telecamere come Martin Schulz (noto agli italiani perché Berlusconi lo chiamò kapò) si rivelarono sbagliati. Avanti con giudizio, quindi. D’altronde, che senso avrebbe cambiare cancelliere (il nome è sempre lo stesso, il ministro della Difesa Boris Pistorius), bruciando un candidato popolare per un governo impopolare?
I fronti
Scholz si è concentrato su quello che più gli piace fare, studiare i dossier. Ne ha di impegnativi. A Berlino è arrivato Zelensky, che oggi parlerà al Bundestag, prima dell’avvio della Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina. C’è il G7 alle porte, e tra pochi giorni a Monaco si aprono gli Europei di calcio. Prima, però, la partita più importante – anche per Scholz – è sulle nomine europee. Sarà lui, con il premier spagnolo Pedro Sánchez, il negoziatore capo dei socialisti europei, come il polacco Donald Tusk – l’altro vincitore delle elezioni con Giorgia Meloni – e il greco Kyriakos Mitsotakis lo saranno dei popolari. A Tusk lo lega stima e una buona sintonia personale.
Così ieri il cancelliere ha ribadito quali sono le linee rosse per il governo tedesco: «La presidenza della Commissione deve basarsi su una maggioranza democratica di partiti democratici tradizionali nel Parlamento europeo». Quindi, von del Leyen può essere il candidato Spd (e del governo tedesco) se non chiederà i voti alle estreme destre. Ma in questo argine formale nulla vieta che al livello del Consiglio Ue (ossia dei primi ministri, cui ricordiamo spetta la nomina) Giorgia Meloni personalmente appoggi von der Leyen. Questo veto Berlino non l’ha posto, né può farlo. E può essere la quadratura del cerchio. I tempi, negli auspici di Scholz, potrebbero essere brevi. «Sono favorevole – ha detto – a superare tutte le sfide questo mese. Non c’è motivo di rimuginare a lungo». La partita in Europa, viste anche le scarse opzioni, alla fine potrebbe essere più agevole per il cancelliere di quella che si giocherà in casa, per la sopravvivenza, già nei prossimi mesi.