Avvenire, 11 giugno 2024
Quando Virgilio entrò nella Resistenza
Una storia del contributo degli studi (e degli studenti) classici alla lotta contro il nazifascismo
Cosa accade quando Virgilio e altri grandi classici latini e greci “vanno in montagna”, diventano cioè uno dei simboli e delle azioni concrete della Resistenza antifascista? Ce lo racconta il bel libro di Katia Massara, Virgilio va in montagna. I licei classici nella Resistenza (Carocci, pagine 248, euro 26,00), incentrato sul «grande contributo alla Resistenza, anche in termini simbolici, degli studenti e dei professori dei licei. Attraverso la ricostruzione di storie note e meno note che si intrecciano tra loro, il libro evidenzia il legame forte e sistematico tra lo studio dei classici e della filosofia e l’adesione alla Resistenza».
Si viaggia così nel tempo, oltre che in una mappatura rigorosa e insieme avvincente dei “licei della Resistenza”, attraversando il Veneto, il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia Romagna, la Toscana, così come i licei romani e altri sparsi ancora, tra Savona, Avezzano, Napoli e Pescara, in una geografia affascinante della militanza antifascista.
Come scrive la Massara nella densa introduzione, «nei venti mesi che separano l’8 settembre dalla Liberazione molti giovani decidono di salire in montagna per combattere nella Resistenza. Tanti provengono da famiglie borghesi e sono studenti del liceo classico». In più punti del libro si mostra come la retorica fascista che mirava a sussumere la classicità e latinità, così come filosofi, poeti e scrittori antichi e moderni, pro domo sua, in un ideologico mito della Roma imperiale, fascistizzando Augusto, Virgilio, Orazio e tanti altri, divenne controproduttiva e contribuì, suo malgrado e per eterogenesi dei fini, allo smascheramento della distorsione. In questo senso il liceo classico, scuola delle élite, avrebbe dovuto essere appunto «la più fascista delle scuole fasciste, destinata a fornire alla nuova Italia i suoi politici, statisti e intellettuali migliori, le sue migliori energie. Eppure, nell’Italia occupata, le formazioni partigiane furono composte molto spesso anche da professori e studenti provenienti proprio dai licei classici».
Fu soprattutto Virgilio, nell’occasione del bimillenario del 1930 (ma si sfruttarono anche gli altri due bimillenari, quello oraziano del 1935 e quello augusteo del 1935) a essere piegato alla propaganda del regime, come poeta del ruralismo, nonché cantore dell’impero e dell’egemonia romana letta in un’ottica di facile provvidenzialismo.
Magnifico, tra gli altri, l’esempio del giovane Emilio Sereni che, antichista, conoscitore del cinese e del giapponese, e certo del greco e del latino, nonché fine storico e militante del Partito Comunista nell’Alta Italia, reagirà al riduzionismo di queste letture propagandistiche. E così in Virgilio e Orazio, i due autori più fascistizzati, ridotti a una teleologia imperialistica, a un’eternità di Roma a uso fascista, Sereni scorge tutt’altro a partire dal canto dolente della guerra civile, e dalla sofferenza che questi disastri antichi e moderni infliggono, mietendo vittime, di cui è necessario dire, perché non muoiano due volte. L’antifascismo coraggioso e politico di Sereni, arrestato più volte, trova nutrimento e sublime consolazione, anche tra la fame il freddo e il terrore nazifascista, proprio nei classici, rivissuti e riletti quali arche di umanità e affrancati dalla falsificazione fascista. Come nella lettera al Vettori di Machiavelli, essi sono vivi, presenti e aiutano a liberarsi dalle angustie del presente, proiettandoci in un tempo pieno e liberato.
Il libro della Massara è una miniera di racconti, di figure, di vicende, tanto più necessari oggi, quando l’amnesia è la via più comune e quando la scuola sempre più è stretta nella morsa aziendalizzante e nell’omologazione tecnocratica. Tra i tanti possibili spunti dal testo, ricordiamo rapsodicamente: la Repubblica dell’Ossola, con Gianfranco Contini e Carlo Calcaterra, i dodici professori universitari – su 1.200 – che non giurarono fedeltà al fascismo, e poi Fortini, Pasolini, Fenoglio, Calvino, accomunati, nella differenza, dalla passione antiautoritaria. Ma il tessuto della militanza è molto più vasto, e le stelle più note non sono necessariamente le più luminose. Chiude il libro un capitolo che riflette su come il cinema e la letteratura abbiano contribuito, tra testimonianza e problematizzazione, a far memoria di ciò che è stato.
Ma la genialità di Virgilio è al centro anche di due altri preziosi libretti. Il primo, di Sergio Casali, Virgilio: guida all’Eneide (Carocci, pagine 144, euro 13,00), è un agile e aggiornato volumetto che mira a dare al lettore almeno un’idea della straordinaria complessità del poema virgiliano. L’Eneide è epica e non epica, è «un’Odissea, è un’Iliade, ma è anche l’opera di un poeta filologo di stampo alessandrino», e contiene pure «la tragedia, sia greca che romana, oltre che elementi della poesia didascalica, elegiaca, bucolica e neoterica». Apparentemente encomiastica, l’Eneide è sempre problematizzante, poco importa che si seguano gli ermeneuti “ottimisti”, o i “pessimisti” della scuola di Harvard, che vedono nel poema la coesistenza di “due voci” e, dietro l’encomio, la visione virgiliana della storia romana come «una lunga vittoria di Pirro».
Il secondo è il raffinato esercizio di scrittura e lettura di Geminello Alvi, Io Virgilio (Marsilio, pagine 144, euro 16,00), una sorta di autobiografia spirituale e di romanzo a frammenti in prima persona sulla vita pubblica e privata del secondo Omero. Scrive l’autore nella premessa: «questo è libro d’imitazione, non d’invenzione. Pascoli… Heinze e Norden, gli studi di Boyancé, le traduzioni di Albini e d’altri eruditi gli hanno molto giovato», ma anche viaggio immaginale perché «l’esistenza riguarda il genere fantastico, mai quello realista». La prosa non può che essere poetica, “numerosa” e forse il libello, che va a ritroso dal termine ultimo all’infanzia, deve anche al non citato Hermann Broch de La morte di Virgilio, come un distillato callimacheo può stare al prorompente e fluviale romanzo del grande austriaco.
«Ho amato la pace perenne che ritorna età perfetta del regno di Saturno, ma vivendo in società pervertita da guerre orrende, nel disastro di ogni ricordo», e di questo Virgilio, in tempi bellici e scempi come i nostri, più che mai abbisogniamo.