la Repubblica, 11 giugno 2024
La mamma del Gattopardo
La rinuncia ai propri sogni è il preludio alla morte. Non accetta di vederli sparire, né lo farà mai Beatrice Tasca Filangieri di Cutò, madre di Giuseppe Tomasi di Lampedusa il 9 maggio del 1943 rientrando in una Palermo spettrale, resa agonizzante dal pesante bombardamento statunitense per piegare i tedeschi. Il mondo intorno sembra crollato, eppure lei con passo risoluto, a settantatré anni, incurante di ogni pericolo, avvolta da un’abbagliante eleganza, procede verso palazzo Lampedusa. Solo toccarne le mura, seppur distrutte, è come sentire i palpiti di un corpo aggrappato alla vita che può desiderare, ancora sognare.
Con la figura di Tomasi di Lampedusa e Il Gattopardo, lo scrittore e regista Ruggero Cappuccio ha un legame più che trentennale, risale a opere per il teatro come Desideri mortali e al film Lighea tratto dal racconto La sirena, e ora quel rapporto d’elezione diventa un atto di amore e devozione con il romanzo La principessa di Lampedusa (Feltrinelli), già alla terza ristampa, storia di una donna tenace nella lotta per tenersi stretta una libertà di pensiero e di scelte da sempre viste con sospetto, giudicate come scandalo a Palermo in un tempo di sconquassi e radicali cambiamenti, in cui era preferibile attendere e sperare in silenzio.
Travolge chiunque con la sua caparbietà, la principessa. Un coraggio ammirato dalla giovane Eugenia Bonanno che abita di fronte palazzo Lampedusa, avvolta dalla tristezza perché incapace di opporsi al volere del padre, l’avvocato Salvatore Bonanno, sciacallo che fiuta affari in tempi di guerra, e che l’ha promessa sposa al figlio dell’ingegnere Guerrera. Inoltre, a causa dell’imposizione paterna, Eugenia ha dovuto abbandonare il sogno di studiare Fisica a Napoli e l’amata astronomia. Nel rapporto che si stabilisce tra Beatrice e Eugenia – in lei la principessa è come se ritrovasse Stefania, la figlia morta a tre anni – guerra e morte intorno a loro sembrano sparire.
L’idea di celebrare la vita con un gran ballo nella casa diroccata, mentre risuona ilFaust di Charles Gounod, tra mura sfondate e pavimenti mancanti, è la stoccata struggente in omaggio a quel passato pochi anni prima creduto come tempo immutabile, foderato di certezze inviolabili. Riunire i superstiti, l’aristocrazia mutilata dei Florio, e i Moncada, i Lanza di Trabia vuol dire metterli di fronte al mondo che è stato ormai travolto. Però la principessa Beatrice non permetterà mai che i sogni di Eugenia naufraghino, infatti è lei a sostenerla nella ribellione al padre, le apre gli occhi sul coraggio che potrebbe spegnersi.
Nel romanzo di Cappuccio, Beatrice è “la Gattoparda”, tesse le fila di chi ama indirizzandoli verso il loro destino, e lo fa soprattutto con suo figlio, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Arrivato a Palermo da Capo d’Orlando, cerca di dissuadere la madre dall’ostinazione folle di salvare palazzo Lampedusa a ogni costo. Lei però gli risponde enigmatica. «Sono venuta perché questa casa è l’estensione della tua anima», e poi «difendere questa casa è il modo migliore per starti vicino», fino a ripetergli più volte: «Scrivi».
È la principessa a fargli comprendere il senso della casa come luogo in cui si può recuperare il passato, sottrarlo alla morte, dargli nuova vita, trapiantarlo nel futuro. Cappuccio ricostruisce quindi la genesi di un capolavoro: è la mano amorevole e decisa della madre a tirare via dall’ombra il grande sogno del figlio, la scrittura, spingendolo verso il romanzo, verso la storia di chi si ritrova al confine tra due epoche, a guardare negli occhi il cambiamento, Il Gattopardo.