La Stampa, 10 giugno 2024
Intervista a Donald Sassoon
«Per una stupidaggine del mio ex primo ministro David Cameron, che per il capriccio di eliminare la destra interna ha indetto il referendum sulla Brexit pensando di vincerlo, io sono un extracomunitario. E invece vorrei essere a votare con voi!». Donald Sassoon, da Londra, è il più vicino e il più lontano spettatore dell’Unione europea al voto. Per uno dei maggiori storici contemporanei, professore emerito alla Queen Mary University e autore di Quo vadis, Europa?, la distanza dal nostro destino comunitario è un binocolo privilegiato, se così si può dire. Dalla lente della Manica, muove una critica spietata, di quel che forse noi europei non riusciamo a vedere.
Professore, il partito dell’astensionismo ha vinto ancora, purtroppo. Questo crea un problema di legittimità democratica del Parlamento Ue per i 450 milioni di cittadini europei?
«È una notizia brutta, ma non sorprende. In parte, è senz’altro dovuto al fatto che le elezioni del Parlamento europeo, rispetto a quelle nazionali, promettono pochi poteri ai membri scelti. Anche se gli europarlamentari ne hanno di più di 20 anni fa, per carità. Il vero guaio democratico, comunque, è l’astensionismo al ribasso anche quando ci sono le elezioni nazionali».
All’astensionismo si aggiunge l’euroscetticismo, rappresentato da molti partiti dell’ultradestra vincitori ieri.
«Parliamo di Parlamento Ue come se l’Ue fosse uno Stato. Ma l’Europa non ha nessuno dei poteri vitali degli Stati nazionali: parlo dei poteri del fisco e di riscuotere le tasse, i poteri di decidere una politica estera, il controllo delle forze armate e il welfare. Ripeto, ha poteri molto scarsi. Come aveva individuato Margaret Thatcher, che non era certo un’europeista, ma un’euroscettica, l’aumento dei Paesi membri dell’Unione europea rende sempre più difficile un’Europa forte».
Sta dicendo che l’allargamento dell’Ue a 27 è stata e sarà la sua condanna?
«Io sono abbastanza pessimista, spiego perché. Ci troviamo in un momento in cui la politica mondiale si gioca su assi diversi: dal conflitto russo-ucraino, all’aumento della potenza cinese, soprattutto dal punto di vista economico. Poi c’è l’incognita americana, e bisogna prevedere una prospettiva non certo piacevole, se si pensa che Donald Trump vincerà le prossime elezioni: tra le poche cose chiare, è che dell’Europa gliene importa assai poco. L’Ue dovrebbe continuare ad allargarsi con i Balcani, certo. Ma questo non vuol dire che possa davvero credere di diventare una potenza globale o uno Stato. Quella è un’utopia, un sogno illusorio».
Cioè, siamo spacciati, per lei? Non è un po’ troppo catastrofista, all’indomani di un voto così importante?
«L’euroscetticismo fa parte del pensiero europeo. Solo che una volta, i critici erano di sinistra, ora stanno a destra. Tutto questo non ci deve sorprendere. Non ci sono esempi recenti di Stati che riescono ad unirsi, così come appunto l’Ue non può pensare di ragionare come uno Stato. Se guardiamo alla storia europea, nell’800 esistevano pochissimi Stati che c’erano già nel ’700. Dopo la Prima guerra mondiale, l’unico Stato che si è formato amalgamando altri Stati già esistenti è stata la Jugoslavia, abbiamo visto com’è finita. L’impero zarista salvato dall’Urss si è spaccato in vari Stati. Quello che può succedere alla nostra-vostra Europa è un’ulteriore divisione tra Stati oggi esistenti. D’altra parte, sta succedendo: pensiamo alla Scozia, che vuole uscire dal Regno Unito, alla Catalogna, al Belgio diviso in fiamminghi e valloni».
Cioè l’Ue è antistorica?
«Diciamo che secondo me si va nella direzione dell’aumento degli Staterelli e non dell’Unione. Sì, l’Unione è anti-storica. Il che non vuol dire che non possano accadere riforme che la unificano più di quanto lo sia oggi. Ma paradossalmente l’Ue facilita la divisione interna tra i vari Stati: la Catalogna può dire “perché dobbiamo ancora far parte della Spagna, se possiamo staccarci e comunque restare dentro l’Europa, avendo una voce?”. Lo stesso pensano i nazionalisti scozzesi, molto filo europei».
L’avanzata delle destre è la nostra nuova realtà politica, uscita dalle urne di ieri. Come spiega questo voto estremista e cosa accadrà?
«Molti elettori sono scontenti dall’andamento della politica normale e si rifugiano più a destra che a sinistra. Anche se registriamo il successo di Mélenchon in Francia, più forte del partito socialista. Anche la sinistra radicale è in aumento. Al centro, invece, le distinzioni sono sempre meno ovvie. La sinistra tradizionale si è spostata verso l’area moderata. Quanto alla nuova destra, lo vediamo con Meloni unico partito estremista al potere, si è subito moderata. Il potere l’ha calmata. Quando devi governare, hai bisogno dei fedelissimi, ma anche del centro, degli elettori di domani. Prevedo che accadrà lo stesso con Marine Le Pen».
Come fa a dire che non ci sarà nessuno scossone? Dal punto di vista delle priorità politiche, le destre sono scettiche sul clima, hanno linee dure sui migranti, ambiguità verso Putin.
«Io dico che le destre sono divise tra loro, e questo ha come esito che alla fine la maggioranza al Parlamento Ue non cambierà. Dunque, l’avanzata delle ultradestre non ha rilevanza forte nelle vite quotidiane degli elettori europei».
Biden in Normandia per gli 80 anni dello sbarco sembra aver incoronato Macron a leader europeo. Lui convoca elezioni, di fronte alla disfatta elettorale. Quanto è pericoloso questo caos?
«È una cosa stranissima che Biden incoroni Macron leader...non è capace di tenere la Francia stabile… Non c’è un’area europea oggi che mi sembri più interessante e degna di fiducia per un corso diverso della Ue. L’asse tradizionale Francia-Germania non esiste più, per debolezza di tutte e due i Paesi. Mi dispiace dirvelo: non c’è una testa dell’Europa, in questo momento». —