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 2024  giugno 10 Lunedì calendario

Intervista a Jacopo Fo

Dario Fo e Franca Rame, una coppia nella vita e nell’arte. Cosa significa essere figlio di due personaggi di questo calibro? Che genitori sono stati?
«Se commettevo qualche pasticcio, mi spiegavano il motivo per cui avevo sbagliato – racconta Jacopo Fo —. Non ho mai subito punizioni, volevano trasmettermi solo la passione. Mi ripetevano: fai quel che vuoi e campi di più, che non significa restare sdraiati sul divano a guardare il soffitto. Mi hanno insegnato una cosa fondamentale: il senso del dovere, loro recitavano anche con la febbre alta».
Quando era bambino, giocavate insieme? Chi dei due era più disponibile?
«Mamma raccontava storie bellissime, era il suo modo di giocare con me. Non ricordo una partita a pallone con papà, piuttosto lunghi giri in bicicletta; però, quando era nel suo studio a lavorare, a scrivere nuovi testi, in casa c’era la consegna del silenzio assoluto. Io ero autorizzato a strisciare sotto la sua scrivania con i miei fogli di carta dove disegnavo quello che mi passava per la testa...».
E lui?
«A volte si staccava dal lavoro e cominciava a disegnare con me. Una volta, stavo disegnando una casetta rosa, lui mi prende il foglio e ci fa sopra un quadrato viola. Gli chiesi: perché viola? Risponde: perché è un lampo di temporale. Da allora cominciai a disegnare solo casette viola e, quando la maestra mi chiese il motivo di quel colore un po’ inquietante, risposi: se lo faccia spiegare da mio padre...».
Un papà impositivo?
«No, era molto autocritico. In un’altra occasione avevo fatto un disegno che non mi piaceva e lo strappai. Lui mi disse che se una cosa non mi piaceva non dovevo distruggerla, semmai trovare un’altra soluzione. Un principio che gli vidi applicare qualche giorno dopo. Stava disegnando un ritratto di donna su un asse di legno, non gli piaceva e lo infilò nella vasca da bagno sotto la doccia. Nel legno infradiciato, l’immagine cominciò a disfarsi e io cominciai a piangere, perché lo stava distruggendo e invece... ecco che da quell’apparente distruzione venne fuori un dipinto ancora più bello del precedente!».
Due protagonisti della scena nazionale e internazionale: come trascorrevate il tempo libero?
«Non ricordo molto tempo libero trascorso insieme: erano due girovaghi, in tournée buona parte dell’anno, li seguivo spesso nei vari teatri, dove assistevo alle prove dietro le quinte. Altrimenti restavo a casa con le due nonne a turno, ma anche da solo, e sapevo organizzarmi: potevo liberamente decidere se andare a scuola oppure no, mi firmavo le giustificazioni».
Che amici frequentavano?
«Più che altro compagni di lavoro: a Milano, per esempio, si vedevano di frequente con Jannacci, Cochi e Renato... gente del loro mondo, con cui qualche volta, la sera dopo cena, giocavano a carte: mamma era bravissima a poker, senza un eccessivo impegno economico, le puntate molto contenute. Rimasi però basito una mattina: mi ero alzato alla solita ora per andare a scuola e li vedo in salotto al tavolo da gioco».
Avevano trascorso tutta la notte a giocare?
«Esatto. Si vergognarono e mi raccontarono una balla, affermando che si erano svegliati presto per recuperare una perdita di denaro della sera precedente».
Dario era un ragazzone alto e allampanato, non si può dire che fosse bellissimo. Franca era uno splendore di ragazza: come ha fatto a innamorarsi di lui?
«Mia madre era una donna intelligente. Bellissima, aveva molti corteggiatori, magari anche gente ricca, importante, ma ha scelto un uomo sensibile, spiritoso, che la faceva ridere».
Era geloso della bella moglie?
«Credo di sì, ma non lo dava a vedere e poi non ce n’era motivo. Invece fu proprio lei ad arrabbiarsi per i tradimenti di lui e annunciò di voler divorziare in tv, ospite della Carrà a Domenica in: Raffaella rimase di stucco, non si aspettava una dichiarazione così intima».
Poi lo perdonò...
«Lui le mandò un fax lungo 7 metri pieno di disegni e parole d’amore. Era un tipo creativo e non dimentichiamo che mio padre ha preso il Nobel».
Ovviamente, Franca ne era orgogliosa...
«Sì, ma in proposito raccontava una barzelletta».
Ce la racconti.
«Il Premio Nobel Enrico Fermi stava viaggiando in America con la moglie in macchina. Si fermano a fare benzina: la consorte scende dall’auto e va ad abbracciare il benzinaio. Il marito assiste alla scena e, quando ripartono, le chiede: chi è quel tipo che hai abbracciato con tanto affetto? Lei risponde: stavo per sposare lui, prima di conoscere te. Il marito ribatte: beh, allora ti è andata bene. E la moglie: se lo avessi sposato, il Nobel lo avrebbe preso lui! Con questa storiella mia madre voleva ridimensionare ironicamente l’importante riconoscimento».
Ironica e determinata nel prendere l’iniziativa: fu lei per prima a baciare Dario. Un gesto impensabile da parte di una donna, a quei tempi...
«Erano gli anni ’50. Lavoravano insieme in uno spettacolo di rivista: lui l’aveva adocchiata, ma non osava corteggiarla; lei se n’era accorta e una sera si incrociano dietro le quinte. Lei lo blocca e lo bacia».
Decisamente disinvolta...
«Franca è cresciuta in una famiglia di artisti. All’epoca, le donne che facevano le attrici erano considerate delle prostitute e siccome mia nonna materna era una cattolica di ferro aveva aperto una pasticceria per poter dire alla gente che le figlie facevano le pasticcere. La pasticceria fallì e allora convinse mia madre a fare un corso da infermiera: lei obbedì, ma era una fatica, perché la sera recitava. Inoltre, a scuola, è stata bullizzata, avendo uno strabismo divergente... da ragazzina non era bellissima. Dopo varie operazioni, riuscirono a correggere il difetto, e alla fine le rimase solo una lieve divergenza».
Dario era figlio di un ferroviere...
«Mio nonno è stato un militante del partito socialista. Durante il fascismo, nascondeva i documenti riguardanti i partigiani dentro i pannolini di mio padre. Ha aiutato molti ebrei a fuggire in Svizzera: li nascondeva dentro le casse dei treni, da lui condotti, che contenevano sabbia... toglieva la sabbia e infilava dentro i poveretti. Mia nonna paterna, una contadina. Mi raccontò che quando aveva 17 anni, stava raccogliendo insalata in un campo e venne accecata da un forte luce: cadde svenuta, si sentì toccata da Dio. Un mago le predisse: partorirai un figlio che diventerà famoso in tutto il mondo. Quando diventò madre, educò i suoi tre figli alla passione, non alla disciplina, anche se si arrabbiava molto quando ne combinavano di ogni genere...».
Per esempio?
«Una volta, mio padre a 5 anni e suo fratello a 3, decidono di sperimentare il paracadutismo: si buttano dal balcone di casa aggrappati a un ombrello. Un’altra volta decidono di sperimentare la nautica: abitavano sulle rive del lago Maggiore e tentano di attraversarlo a bordo di una tinozza dei panni. Ovviamente affondano e per fortuna vengono salvati da un pescatore».
Dario e Franca, genitori impegnativi?
«No, mi hanno insegnato che si può sfidare l’impossibilità apparente. La loro è una storia di azioni impossibili. Tra le tante, sono stati capaci di abbandonare i palcoscenici ufficiali, per fare teatro nelle fabbriche occupate, regalando poi l’incasso, ottenuto dal pubblico che andava a vedere lo spettacolo, agli operai in sciopero».
Sono scomparsi a tre anni di distanza: prima lei nel 2013, poi lui nel 2016.
«Dario ha sofferto moltissimo per la mancanza di Franca. Ha continuato a parlare con lei dopo morta, dimostrando che il nostro ateismo di famiglia era, in realtà, solo di facciata».