Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  giugno 10 Lunedì calendario

Giorgia soddisfatta

 Giorgia Meloni arriva al Parco dei Principi alle due di notte, ha gli occhi lucidi e un sorriso che dice orgoglio e «commozione sincera, perché questo risultato mi ripaga di tutto». Fratelli e sorelle d’Italia cantano e ballano Ma il cielo è sempre più blu, lei promette di trasformare l’entusiasmo «in benzina» e ringrazia gli italiani, per aver capito le «scelte difficili» fatte senza un euro in cassa. La frase a effetto arriva dopo l’inno nazionale ed è, con una goccia di perfidia, una citazione di Elly Schlein: «Ci hanno visto arrivare, ma non sono stati in grado di fermarci». Meloni è l’unica premier in Europa che ha vinto le elezioni e vuole gridarlo forte davanti alle telecamere: «Ci siamo visti qui due anni fa ed è stata una bella notte, questa per noi è ancora più bella. Sono fiera che questa nazione si presenti al G7, in Europa, con il governo più forte di tutti. Una soddisfazione e una grande responsabilità».
Una vigilia da batticuore, alti e bassi tra ottimismo e paura. E adesso che le urne incoronano la sua creatura come primo partito, circa tre punti in più delle Politiche, l’inquilina di Palazzo Chigi esulta: «Dopo quasi due anni di governo, nella situazione più difficile che l’Italia abbia mai attraversato, possiamo dire di aver fatto un capolavoro». Ci ha messo la faccia a dispetto dei tanti, da Salvini a Tajani, che avevano provato a convincerla a non scendere in campo per un seggio che non occuperà. Ha spronato gli italiani a scrivere sulla scheda solo «Giorgia» e costruito la campagna come un referendum. Ha scommesso su sé stessa e ha vinto. La quota di voti incassati dalla maggioranza supera il 44% delle Politiche, numeri che rafforzano il governo e consolidano la leadership di «Giorgia».
Sul piano interno è un successo senza ombre, che la ripaga dei sacrifici familiari a cui ha fatto cenno nelle tante interviste. «Come ho passato la domenica? – raccontava ieri agli amici del barbecue e ai tanti che l’hanno chiamata per condividere l’ansia —. Alle prove del saggio di Ginevra, al quale non potrò assistere perché coincide con il G7». Sul piano internazionale, il vento europeo che soffia forte verso destra può innescare una rivoluzione e lei vuole esserne protagonista. Sa bene che da sinistra proveranno a isolarla e che FdI non sarà, numericamente, ago della bilancia delle nomine di vertice. Ma per Palazzo Chigi, in una elezione di questa importanza i voti non si contano, si pesano. «Sarà difficile fare un governo a Bruxelles e scegliere un presidente della Commissione senza l’unica leadership dei Paesi fondatori rimasta salda», ragionavano nella notte Meloni e i suoi, con malcelata soddisfazione per le batoste incassate rispettivamente da Macron e Scholz.
No al rimpasto
La quota di voti della coalizione supererebbe
il 44% delle Politiche
Ma nessun rimpasto
Nei risultati così brucianti per Parigi e Berlino, Meloni trova la conferma della bontà delle sue critiche alla Ue. E se Manfred Weber invita socialisti e liberali a formare una maggioranza che sostenga «un’alleanza pro-europea», lei certo non si sente fuori dai giochi: «Basta confrontare lo stato di salute del nostro governo con quelli di Francia e Germania...». Se il Ppe confermerà il sostegno al «bis» di Ursula von der Leyen, nel chiuso del Consiglio europeo Meloni non potrà non concorrere alla sua riconferma, visto anche l’«ottimo rapporto personale». Altra cosa è sostenere la maggioranza Ursula in Parlamento. «Non faremo la stampella della maggioranza Ursula», è il piano dei meloniani, che già si sentono «decisivi su tanti provvedimenti». La fondatrice di FdI, che guida i conservatori di Ecr, pregusta battaglie e vittorie grazie a «maggioranze variabili» e possibili accordi con la vincitrice assoluta delle elezioni in Francia, Marine Le Pen.
Tornando in Italia, Meloni non vede rimpasti all’orizzonte. «Squadra che vince non si cambia», è il suo motto. E lei si è messa in testa di arrivare a fine legislatura senza sostituire un solo ministro. Sempre che le inchieste giudiziarie non facciano saltare qualche casella e che la presidente del Consiglio non si veda costretta, suo malgrado, a privarsi di qualche «big» di Fratelli d’Italia che ora siede al governo per mandarlo a Bruxelles.