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 2024  giugno 10 Lunedì calendario

Un terremoto sui governi di Francia e Germania: von der Leyen reggerà?

Il re è nudo al centro dell’Europa. Si sbriciola il suo cuore carolingio. Il voto sposta a destra il baricentro politico dell’Unione, ma soprattutto scopre deboli e a fine corsa  i leader di Francia e Germania, i due Paesi più grandi e fin qui inevitabili di ogni dinamica europea.
Emmanuel Macron e Olaf Scholz sono i veri, grandi perdenti delle elezioni. Sconfitte attese e ampiamente annunciate.


Annunciate, è vero, ma che nel momento in cui diventano realtà aprono scenari nuovi e imprevedibili, sia nei rispettivi Paesi che sul palcoscenico comunitario. «L’Europa si muove in una situazione di grave crisi e i cittadini hanno paura, ma né l’uno né l’altro si sono mostrati capaci di dare risposte convincenti e all’altezza delle sfide. «In fondo, questo risultato era prevedibile», mi dice nella notte l’ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer, i cui Verdi sono usciti decimati dalle urne.
Dei due, a rischiare di più nell’immediato è il presidente francese, che gioca la carta della disperazione di un’elezione anticipata, nella quale spera di rianimare un improbabile «front rèpublicain» contro lo straripante Rassemblement National di Le Pen e dell’astro nascente Bardella. Ma il cancelliere non sta meglio, annichilito sia dalla rinata della Cdu di Merz, che già gli chiede di sottoporsi a un voto di fiducia, sia dal probabile sorpasso di AfD e alle prese con alleati, anche loro perdenti, che potrebbero staccare la spina nei prossimi mesi.
La doppia umiliazione di Macron e Scholz cambia il grande gioco delle nomine ai vertici dell’Unione. In primo luogo, all’interno del Consiglio europeo, dove non potranno essere più loro i Kingmaker. Questo rafforza le chance di Ursula von der Leyen di vedersi riconfermata alla guida della Commissione europea: negli ultimi mesi erano stati infatti il capo dell’Eliseo e il cancelliere, i registi neppure tanto occulti di un lavorio che puntava a sbarrare la strada all’ex ministra della Difesa tedesca, considerata da Macron e Scholz non più adeguata. Il ruolo decisivo nella nomina di von der Leyen nel vertice dei capi di Stato e di governo potrebbe invece averlo Giorgia Meloni.
Diversa, molto diversa sarà la partita dentro il Parlamento europeo, che dovrà votare la fiducia. In apparenza, nonostante la forte avanzata delle destre, quella populista conservatrice di Ecr e quella estrema di Identità e Democrazia, la cosiddetta «maggioranza Ursula» – fatta di popolari, socialisti e liberali – ha retto: le proiezioni le danno 398 voti, ben sopra la soglia magica di 361 che è la maggioranza assoluta nel nuovo Europarlamento. In realtà, una quota intorno al 10-15% di franchi tiratori viene considerata inevitabile e quindi i numeri non ci sarebbero. «Ha bisogno di un altro partito e potremmo essere noi», ha detto ieri sera Bas Eickout, uno dei leader dei Verdi, che, sconfitti nelle urne e con quasi 20 deputati in meno, potrebbero entrare stabilmente in una nuova coalizione a sostegno di von der Leyen. Naturalmente sia i Verdi, che socialisti e liberali, hanno riproposto ieri i paletti del proprio sostegno, legandolo al rifiuto della candidata popolare di ogni collaborazione con la destra, sia quella di ECR che quella estrema di ID.
Una interessante apertura in favore di una riconduzione della «maggioranza Ursula» è venuta ieri da Manfred Weber, presidente del Ppe, lo sconfitto di cinque anni fa, che ora si muove da grande tessitore, forte del successo della Cdu-Csu in Germania. «Invito socialisti e liberali a unirsi alla nostra alleanza europea pro-democrazia. Insieme getteremo le fondamenta per quello che succederà nei prossimi cinque anni al Parlamento europeo».
Ma comunque andrà, il responso delle urne avrà conseguenze importanti sulla vita delle istituzioni europee da qui al 2029. Ogni maggioranza «europeista» dovrà fare i conti con uno schieramento di destra rafforzato e deciso a far valere le proprie posizioni, sia pure al netto delle tante divisioni che lo segnano all’interno. Dossier cruciali come la politica di difesa contro l’espansionismo aggressivo della Russia di Putin, la politica agricola, la transizione climatica che è diventata il pomo della discordia dopo essere stata la bandiera della scorsa legislatura, saranno oggetto di negoziati duri, dove spesso salteranno le alleanze tradizionali. Soprattutto, sarà sempre più evidente il solco tra due idee d’Europa, quella che vuole affrontare insieme le sfide del futuro e quella che vorrebbe rimettere tutto nelle mani dei governi nazionali.