il Fatto Quotidiano, 10 giugno 2024
Quasi come Dumas. La sfortuna del “ghost writer” Pier Angelo Fiorentino: era italiano e non francese
Pier Angelo Fiorentino, una delle figure più singolari e affascinanti della nostra letteratura e del giornalismo, morì centosessant’anni fa, il 31 maggio del 1864, a Parigi. Se fosse nato in Inghilterra, o nella stessa Francia, avrebbe goduto di ben altra fortuna. Ma questo amico e collaboratore di Alexandre Dumas era italiano (nacque a Napoli nel 1811), pertanto il suo nome fu presto dimenticato. Soltanto pochi, da Luigi Capuana a Gino Doria, ne rammentarono la vita e le opere, affermando (lo fece Doria) come fosse stato “egli stesso un Dumas in sedicesimo per il temperamento artistico e per il modo di vita”.
Fu “spirito inquieto e avventuroso”, disse Doria, e autore di romanzi, drammaturgo, poeta, critico musicale dall’autorità “grande e indiscussa”, oltre che protagonista di svariati duelli. Luigi Capuana scrive nel suo Il teatro italiano contemporaneo (1872) che aveva “così splendidamente illustrato il nome della sua patria presso una nazione straniera”. E aggiunge: “La sua qualità di straniero, la sua doppia posizione di critico (scriveva nel Constitutionnel e nel Moniteur) gli suscitarono contro una folla d’invidiosi e di maligni, la quale non gli risparmiò accuse d’ogni sorta, finché egli non fece tacere tutti nel 1850 dopo aver ferito gravemente in duello Amedeo Achard (autore di romanzi di cappa e spada) scelto, per ordine alfabetico, come rappresentante della Société des gens de lettres. Gli articoli di critica di Pier Angelo Fiorentino sono, la maggior parte, de’ piccoli capolavori”.
Dopo avere conosciuto Dumas a Napoli verso il 1835, dismessa la toga di giovane avvocato, Fiorentino lo ritrovò a Parigi ed entrò a fare parte della sua famosa squadra di collaboratori. Alcuni libelli, usciti in Francia a metà Ottocento, gli attribuirono (sembra falsamente) persino la paternità di interi capitoli de Il conte di Montecristo. Il napoletano, però, smentì le dicerie, e nel 1863, in un articolo sul teatro di Dumas, ne rimarcò la fantasia e il genio proprio in riferimento a Il conte di Montecristo. Narra Capuana che a Parigi, nei primi tempi, “Fiorentino non aveva osato presentarsi a Dumas per timore d’importunarlo. Una sera però, incontratosi con lui nella direzione della Presse, ne fu da questi dolcemente rimproverato. Dumas dopo avergli stretto la mano colla sua solita cordialità, lo prendeva allora sotto il braccio, lo conduceva sul baluardo vicino, e li gli diceva: che, avendo l’impegno di scrivere parecchie opere intorno all’Italia, gli sarebbe stato gratissimo associarselo come collaboratore. Fiorentino, ringraziatolo di tutto cuore, per scrupolo di coscienza soggiungeva: Ma che ne farete del mio francese? – State zitto, rispondeva Dumas sorridendo; il vostro francese non ha che un difetto, quello d’esser troppo francese. E d’allora in poi diventava uno de’ più valenti aiuti del celebre romanziere”.
Scrisse per lui certamente brani e capitoli di alcuni libri, da Les crimes célèbres a Il corricolo, e tradusse in francese anche le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo, sebbene il volume recasse la firma di Dumas. Con il suo nome, finalmente, venne invece stampata la traduzione della Divina Commedia (1840), che ebbe diverse riedizioni durante l’Ottocento.