il Fatto Quotidiano, 10 giugno 2024
La straordinaria favola dell’Occhialeria sociale di Genova
Te lo do io il brand. Meno spendi e meglio vivi, perché soprattutto di questi tempi il risparmio è felicità, anche se c’è di mezzo quel bene delicatissimo che è la vista. E voi dove volete che si affermi un messaggio del genere nella Belle Époque degli aperitivi e dei consumi di lusso? A Genova, naturalmente. In via Pré, anima di Fabrizio De André, tra i vicoli del centro storico, il più grande e antico d’Europa con quello di Napoli, si dice. Qui Gino Repetto, Elvira Zecena e Alessandro Schiazza, tre bei tipi con il sorriso che pare dipinto (benissimo) in faccia, hanno aperto un negozio di ottica. L’Occhialeria sociale si chiama, e vale il racconto, essendo destinato (o almeno si spera) a fare scuola in tutta Italia. All’origine c’è un colpo di genio genovese che non viene purtroppo agli amministratori di molti altri comuni. Ossia quello di offrire affitti a prezzi calmierati ai capitani coraggiosi che tengono in vita un’attività commerciale in una zona critica della città. La filosofia del negozio campeggia vistosamente su un cartello appeso all’ingresso: “No Ray-Ban, no Gucci”. Come funziona? Funziona così. Che prima Gino, Elvira e Alessandro utilizzavano il punto vendita come magazzino per le operazioni online. Poi ne hanno fatto un vero e proprio negozio, dove vengono messi in vendita ottimi occhiali a ottimi prezzi, grazie alla rinuncia al marchio. E i clienti (almeno quelli sani di mente…) sono ben felici di avere begli occhiali a metà prezzo, anche se senza firma. Qualcuno proprio non se lo può permettere? In quel caso pazienza: occhiali gratis, in cambio del piacere di sapere che grazie alla propria generosità qualcuno non perde la vista. In ogni caso viene garantito, “senza sostituirsi all’oculista”, anche un controllo gratuito della vista.
Il tam tam ha funzionato, ed è arrivato alle orecchie di una criminologa di nome Giulia che collabora con L’Arte del Vivere con Lentezza, altra meritoria e speciale organizzazione che lavora al fianco delle persone detenute, e di cui Il Fatto ha già parlato in questa rubrica diversi anni fa. Giulia ha scoperto la possibilità di acquistare a Pré occhiali con ottime montature usate e ha pure saputo che una parte del ricavato viene devoluto (previo controllo della vista) per occhiali a persone bisognose.
È nata così una originale e avvincente collaborazione tra l’Occhialeria sociale e L’Arte del Vivere con Lentezza, che ha come destinazione le carceri di più città, visto che l’associazione è riuscita ad aprire altri tre punti vendita: a Pavia, a Vigevano e a Torino. Giulia assicura che è “davvero emozionante” il modo in cui le persone donano gli occhiali vecchi, abbandonati da decenni in qualche cassetto di casa, o addirittura appartenuti a parenti appena defunti.
Da qui un autentico fermento organizzativo, poiché periodicamente Occhialeria Sociale e Vivere con Lentezza danno appuntamento tramite social e mailing list alle persone loro in carico, programmando la rete degli appuntamenti per la visita, la raccolta e il conferimento degli occhiali personalizzati.
Volete sapere chi è al centro di un così complesso e benefico sistema di dare-avere? Anche se non le farà piacere che lo si dica, è Muna Dell’Acqua, una giovane signora laureata in economia che mantiene i contatti con diverse realtà carcerarie e con le situazioni più critiche. Anche grazie al suo talento creativo sono state attivate collaborazioni con comunità terapeutiche, servizi sociali, carceri, servizi per le dipendenze, centri di formazione per persone in situazione di fragilità, uffici per l’esecuzione penale esterna. Con un particolare di metodo che parla da solo: le persone che chiedono aiuto non devono mostrare l’ISEE; sono gli operatori che garantiscono direttamente e responsabilmente per la situazione di svantaggio da aiutare. Senza barare. Ci siamo capiti: senza barare.