la Repubblica, 10 giugno 2024
Intervista a Lorenzo Simonelli
ROMA – Lorenzo Ndele Simonelli, cosa faceva il 1° agosto 2021?
«Ho visto Tamberi che vinceva l’oro alle Olimpiadi e sono saltato sul divano. Poi è arrivato Jacobs, e sono saltato di nuovo. La scena si è ripetuta quando la 4x100 ha vinto l’oro: mi sono detto “voglio andare anch’io alle Olimpiadi però”».
Ce l’ha quasi fatta. Lorenzo Simonelli è lo scirocco che soffia sui 110 ostacoli, con l’argento mondiale indoor, l’oro europeo e un metafisico 13’’05 che lo pone al secondo posto nelle liste mondiali 2024 a 2 centesimi da Grant Holloway, quasi un Edwin Moses delle barriere da 106 centimetri. Nel giro di un anno il romano della Cecchignola si propone a Parigi come uno dei favoriti per le Olimpiadi tanto sognate, in un mondo affollato di allenamenti, sorrisi, manga e amore per l’Africa continente della madre e campo di battaglia contro la piaga dell’Aids per il padre antropologo.
Se i 100 olimpici sono stati vinti da un italiano, perché non i 110 hs?
«Magari. I cinque ori di Tokyo hanno dato a me e a molti altri giovani la motivazione e la voglia di raggiungere un giorno quei risultati.
Se verranno raggiunti bene, altrimenti pace. L’importante è aver il sogno, quello vale quanto aver raggiunto l’obiettivo. Io il sogno ce l’ho e spero di realizzarlo».
Non si accontenterebbe della finale a Parigi?
«Non mi accontento mai di nulla, era così agli Europei, sarà lo stesso ai Giochi».
Quindi si aspettava quel tempo?
«No, no, assolutamente. Sapevo che potevo migliorarmi, ma così tanto no. Sono estasiato».
Quando ha scoperto la vocazione dell’ostacolista?
«A dieci anni. All’inizio facevo di tutto, campestri, salto in lungo, alto, lanci, poi mi accorsi che andavo meglio nelle gare più brevi e veloci.
Feci una prova sugli ostacoli».
L’illuminazione?
«Feci veramente schifo, non sapevo come si corresse. Passavo gli ostacoli a cavalcioni, mi dissi “mai più, non mi piacciono”. La mia allenatrice Marta Oliva dell’Esercito Sport ha insistito: “Ora ti insegno, magari esce fuori qualcosa di buono”. Aveva ragione».
Stava già nell’Esercito?
«Ero in una società dilettantistica che si chiama così perché ha la sede al centro sportivo dell’Esercito, ci può andare chiunque, è molto inclusiva.
Poi quando ho cominciato ad ottenere i primi risultati l’Esercito mi ha voluto tenere in casa, hanno creduto in me sin dall’inizio».
Ci racconta la storia della sua famiglia?
«Sono nato in Tanzania, a Dodoma, dove mio padre antropologo lavorava già da otto anni e aveva incontrato mamma, che è di Mwanza. Lui si occupava all’epoca della lotta all’Aids nelle nazioni più colpite in Africa, era stato anche in Mali dove fece la tesi di laurea. Ha collaborato con progetti per la costruzione di ospedali escuole nel continente. Ora è in Italia dove lavora anche per il G7 e il G20, sui temi della salute globale. Viviamo alla Cecchignola, con mia sorella Giulia e la mia ragazza Alice».
Ha ricordi dell’Africa?
«Nei primi quattro anni in cui ci ho vissuto ci spostavamo molto dalla Tanzania al Kenya tornando spesso in Italia, quindi no, assolutamente niente. Manco dal 2016, a fine estate dopo Parigi vorremmo tornarci».
È romano e anche romanista?
«Scusatemi, di calcio non so molto».
Sta diventando un simbolo dell’atletica internazionale il cappello di paglia che indossa in onore del manga “One Piece”.
«Leggo il volumetto che esce una volta a settimana e ogni volta mi gaso sempre di più, è bellissimo e consiglio a tutti di leggerlo. Non è solo un cartone per ragazzi, ma ha significati profondi, mi hanno fatto crescere molto. Dal punto di vista mentale e anche fisico».
Com’è nata questa folgorazione?
«Ho iniziato a leggerlo intorno al 2015-16, è stato amore a prima vista: la trama, i personaggi e la mentalità del protagonista Monkey D. Rufy, il capitano dei Pirati di Cappello di paglia in cui mi rivedo, diciamo. One Pieceper me è stata fonte di ispirazione: nei momenti un po’ più complicati ho cominciato ad affrontare le cose col sorriso.
Rialzarsi sempre, demoralizzarsi mai, come Monkey D. Rufy. Ho grandi ambizioni e do tutto per raggiungerle: questo mi ha insegnato il maestro Eiichiro Oda. A Roma mi sono sentito quasi il re dei Pirati: ci sto lavorando, sicuramente lo diventerò».